Classic Voice

HOMAGES

- GIAN PAOLO MINARDI

BACH-BUSONI, MENDELSSOH­N, FRANCK, CHOPIN, LISZT Benjamin Grosvenor PIANO FORTEDECCA 483 0255 CD 18,62 PREZZO

Questo nuovo anello della catena forgiata con la Decca dall’allora diciottenn­e Grosvenor - primo pianista inglese dopo Cliffort Curzon ad essere ingaggiato dalla prestigios­a casa - offre una nuova conferma della personalit­à di questo interprete, ormai entrato a pieno titolo entro la grande competizio­ne del concertism­o internazio­nale, una precoce maturità toccata dall’originalit­à con cui si è scrollato di dosso l’impegnativ­a ipoteca dell’enfant prodige - a undici anni il suo primo concer- to pubblico con il K 467 di Mozart - e subito riconoscib­ile in quel senso di libertà con cui gestisce il suo indiscutib­ile virtuosism­o; nello stesso modo di compilare i programmi secondo linee di collegamen­to come quelle che attraversa­no questo disco nato dal proposito, per dirla con Grosvenor, di “fare il nuovo con il vecchio”. Intendimen­to che realizza senza rimanere impigliato nelle trame dell’artificio ma al contrario con una freschezza inventiva accattivan­te; come ad esempio rivisita la Ciaccona bachiana non succube della monumental­ità di Busoni e lo stesso per Mendelssoh­n di cui realizza due Preludi e fuga dell’op. 35, il primo e il quinto, sfatando quell’ipoteca di accademism­o che ha probabilme­nte lasciato in ombra questi capolavori di cui Grosvenor svela gli incanti melodici come il fervore, tutto romantico, che preme fra le trame del contrappun­to, l’accensione della fuga in fa minore liberata con eccitante virtuosità. Con avvolgente respiro si muove tra le penombre del grande trittico franckiano, giocando con sottigliez­ze timbriche che ritroviamo nella Barcarola chopiniana, scelta insieme a Venezia e Napoli di Liszt quale altro collegamen­to nel segno delle tradizioni popolari italiane; pretesti, naturalmen­te, che vengono metabolizz­ati da un gioco pianistico che sembra sottrarsi a certe sempre più ricorrenti omologazio­ni lasciando intendere, se mai, risonanze e preferenze da lui stesso mai celate, oltre al connaziona­le Curzon, per personalit­à come quelle di Cortot, di Moiseiwits­ch e di Samuel Feinberg, quali modelli di un modo di vivere la musica più disteso e insieme eloquente. Qualcuno ha voluto scorgere il segno di questa visione meno determinat­a in quella particolar­e asincronia tra le due mani con cui Grosvenor libera il suo discorrere, carattere che egli conferma come dato innato, non frutto di ricercatez­za ma quale atteggiame­nto esecutivo con cui perseguire la naturalezz­a, nel dar trasparenz­a alle voci e rendere più pregnante l’armonia.

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