SCARLATTI GLI EQUIVOCI NEL SEMBIANTE
“Alessandrini staccava i suoi soliti tempi a sorpresa. Ad esempio il 3/2 in note bianche ora lento e ora velocissimo; inatteso quanto al dato semiografico, ma giustificato da logiche musical-teatrali”
Opera da camera, anzi “trattenimento villareccio per musica”, questo debutto di un adolescente Scarlatti conobbe ai suoi tempi un anomalo successo ventennale, dal 1679 al 1699, ed anche oggi avrebbe sulla carta i numeri per stabilizzarsi in repertorio. Magari come nave-scuola per barocchisti in erba: zampillante invenzione melodica, varietà di “affetti” non gravata da eccessi decorativi, organico ridotto, intreccio perspicuo nella sua classica geometria di commedia degli errori, scena “boscareccia” fissa, un’esemplare edizione critica (Frank D’Accone 1982) che risolve i problemi derivanti da una pletora di fonti. E invece, salvo antologie discografiche o esecuzioni in forma di concerto, gli allestimenti scarseggiano: l’ultimo di cui si ha notizia è del 2014 a Chicago.
Di ostacolo sarà forse la lunghezza: 107 numeri mediamente concisi; ma se eseguiti con tutte le “seconde stanze” delle arie, le ripetizioni dei ritornelli strumentali e i verbosi benché ironici dialoghi in recitativo dell’abate Contini, farebbero tre ore abbondanti. Quella confezionata da Alessandrini come piatto forte del neonato festival “Purti-
miro” è una versione light, dove a parte poche arie tagliate – fra gli espianti più dolorosi quello di “Nuovo Tantalo d’amore” nell’atto primo e una drastica potatura del raccordo fra secondo e terz’atto – si è udito quasi tutto l’essenziale. Poiché le carni posteriori dello spettatore dal vivo sono oggi meno pazienti di tre secoli fa, per la gioia di musicologi e “integralisti” si auspica un futuro cd, o meglio ancora dvd. Nulla lasciava invece a desiderare il quartetto dei giovani solisti, o meglio “comici” nell’accezione secentesca di cantanti-attori. La bionda Alena Dantcheva nei panni succinti della sorella maggiore Clori, romantica e gelosa; Monica Piccinini (Lisetta), pestifera brunetta inneggiante al poliamore; e poi i due tenori nonché gemelli inconsapevoli: Raffaele Giordani (Eurillo) e Valerio Contaldo (Armindo). Tutti graziati da chiara pronuncia e mimica vivace nel delineare personaggi “veri” entro una vicenda ben poco credibile.
Una chicca l’antefinale del terz’atto: gran scena esemplata sulla follia d’Orlando, con Eurillo impazzito di gelosia che sfascia ogni cosa e Clori inventrice di un’abile terapia comportamen- tale. Qui già si vede la zampata dello Scarlatti maggiore: recitativo + aria di guerra “in tromba” + recitativo in duo + aria delirante a due velocità + recitativo in trio. In questo ed altri luoghi topici come aria-lamento, “di sdegno”, “del sonno” e via archetipando, Alessandrini staccava i suoi soliti tempi a sorpresa. Ad esempio il 3/2 in note bianche ora lento e ora velocissimo; inatteso quanto al dato semiografico, ma giustificato da logiche musical-teatrali. I sette membri eletti di Concerto Italiano più lui stesso al cembalo filavano senza intoppi (peccato solo per quei ritornelli scorciati!); la regia di Jacopo Spirei secondava il ritmo teso con qualche innocua madeleine vestimentale e motociclistica anni Cinquanta, vedi Vacanze romane. Teatro esauritissimo e franco successo.