CAVALIERE DA PRIMATO
Michele Mariotti ha vinto il Premio Abbiati 2017 della critica musicale. Gli altri premiati sono il Teatro alla Scala per il miglior spettacolo
(Rosenkavalier
con Zubin Mehta, Kressimira Stoyanova e la regia di Harry Kupfer), il team scenografico guidato da Terry Gilliam nella messa in scena del Benvenuto Cellini di Berlioz all’Opera di Roma, la regista Nicola Raab
(Written on Skin
al Comunale di Bolzano), e poi Alexander Lonquich (solista), John Osborn e Miah Persson (cantanti), Dmitri Kourliandski (novità per l’Italia) e il Quartetto Echos. Tra le iniziative speciali premiate
Aquagranda
(La Fenice di Venezia), Festival Casella (Regio di Torino e altre istituzioni),
Opera…zione Libertà (di Cristina Bersanelli e Davide. il punteggio necessario e dunque non “vale” per i finanziamenti del Fus, assicura il sovrintendente Sani, che ha optato per la collaborazione più strutturata con il Regio di Parma ndr). Al riguardo, Mariotti diplomaticamente si dice solo “molto dispiaciuto”, ma per chiunque ami Rossini questa decisione - al di là delle motivazioni gestionali - riesce infausta: significa rinunciare a un cumulo d’esperienza che certo non fiorisce a ogni primavera come le primule. Una palmare riprova di quanto significhi l’esperienza nell’affrontare un repertorio molto particolare come quello rossiniano la si può avere paragonando le tre orchestre - Covent Garden, Metropolitan, Comunale - con le quali Mariotti ha diretto Donna del lago: a parità di bravura, la liquida morbidezza ottenuta a Pesaro è tutt’altra e rossinianissima cosa. Percorso rossiniano che ha toccato un vertice assoluto nella recentissima Semiramide con la quale Mariotti ha debuttato alla Bayerische Staatsoper di Monaco riscuotendo un trionfo epocale. “Rossini è un autore che mi ha accompagnato e mi accompagnerà per tutta la vita. Sono cresciuto ascoltando Rossini, cercando continuamente di capire cosa si deve e soprattutto non si deve fare per renderne al meglio l’immenso suo contenuto, che può essere nascosto sia da certa antica tradizione di sovrapposizioni, alterazioni e così via, sia da eccessiva smania di ripristino di alcune prassi esecutive dell’epoca, da tenere certo in considerazione, senza però sconfinare nel fanatismo”. Le famigerate variazioni, insomma: si devono fare? E come le si devono fare? “Variare una ripetizione è assolutamente necessario, certo. Ma non è indispensabile aggiungere una valanga di note, che mettono senz’altro in gloria il cantante, ma col cospicuo rischio d’attenuare il momento espressivo. Il confine tra interessante e banale, al riguardo, diventa esiguo. Per me, ripetere variando dinamica, spessori, agogica, durata o addirittura introduzione delle pause, significa tornare sullo stesso concetto ma ponendolo nella luce diversa fornita da colori sempre mutevoli, così da approfondirlo, oppure da porlo in dubbio, oppure ancora da esaltarlo di più: dipende dalla natura del personaggio, dalla situazione in cui si trova. Nessuno varia le note di Schubert, che pure reitera molte volte la stessa frase: la quale viene però variata - e molto - grazie al modo con cui la si ripresenta. Se la variazione in Rossini la si fa in senso strutturale al carattere del personaggio (o alla situazione, se si tratta d’un concertato), a mio modo di vedere il carattere si sfaccetta molto di più, come pure molto di più si chiarisce il significato d’una situazione”.