BRITTEN BILLY BUDD
INTERPRETI P. Addis, T. Spence, J.
Relyea
DIRETTORE James Conlon
REGIA Deborah Warner
TEATRO dell’Opera ★★★★★
“La Warner spoglia la gestualità di ogni morbosità per raccontare una vicenda che ha la semplicità di una parabola religiosa”
Martedì sera, ultima recita di Billy Budd, autore inglese, testo “letterario” (di Forster tratto da Melville), musica del Ventesimo secolo, durata oltre le 3 ore e mezza. Il Costanzi trabocca: abbonati, appassionati, curiosi, debuttanti, giovani (tantissimi), volti noti e notissimi qui mai visti prima. Pochi turisti. Zero selfie nel foyer e niente mises lussuose o tentazioni di “cravatta nera”. Ci sono spettatori normali, da mostra d’arte o teatro di prosa, coinvolti dal passaparola. Onore al merito di chi è capace di intercettarli. Perché l’opera ha bisogno di nuovo pubblico: è grazie a loro che uno spettacolo come questo, colto e stregante - qualche melomane d’antico conio potrebbe ritenerlo noioso e qualche beota tra politica ed economia potrebbe chiamarlo “d’élite” -, è diventato “pop”.
“Dato che credo che in ogni uomo si trovi lo spirito di Dio, non posso distruggere la vita e ritengo mio dovere, nei limiti del mio agire, proteggerla in ogni caso. Inoltre penso che la concezione fascista della vita si possa superare solo con la resistenza passiva”. È l’obiezione di coscienza di Britten, la base del suo radicale pacifismo. Ma sembra anche il programma di Deborah Warner. La regista scansa la lettura omoerotica: sì, Claggart, il sadico maestro d’armi, è attratto dal luminoso Billy Budd, il marinaio altruista e generoso che tutti vorremmo avere per amico. La sua mano una volta gli cinge la spalla in una carezza tentata. Ma non ne fa una storia perversa, alla Fassbinder. La Warner spoglia la gestualità di ogni morbosità per raccontare una vicenda che ha la semplicità di una parabola religiosa: il Capitano Vere - Ponzio Pilato che non salva Billy per ignavia - la rievoca all’inizio e alla fine da vecchio saggio seduto sul bagnasciuga, proprio come in un racconto evangelico. La nave dove si consuma il sacrificio è un inferno popolato da marinai dannati senza avere colpa (credibilissimi i coristi dell’Opera in una grande prova musicale e teatrale), una selva di funi e cime illuminata dalle luci radenti - splendide - di Jean Kalman. Quella morale di Billy è l’unica in grado di rischiararla davvero. Tutto converge nella scena della esecuzione dell’innocente e dell’ammutinamento, dove il movimento cadenzato con cui la ciurma striglia il pavimento si trasforma in un unisono gestuale e sonoro impressionante, come lo scatenarsi dell’ira divina sul Golgota. L’orchestra e il coro lo suggellano. È un momento di straordinaria simbiosi visiva e sonora. James Conlon vi perviene dopo una lettura raffinatissima nella definizione nitidamente sospesa e disincantata degli intarsi strumentali d’orchestra, proiettata sulla verità della parola intonata e sulla esemplarità dei fatti narrati. Soli vocali distillati e toccanti contro masse corali dolenti, alternati come in una passione bachiana, preannunciano il War Requiem. Conlon imposta una lettura vocale senza scolpire i caratteri e contrapporli in una galleria caricaturale: dal capitano Vere di Toby Spence intenso ma spogliato di ogni enfatico travaglio al Claggart di John Relyea di vocalità composta, espressività altrettanto sfingea e atarassica, biblica, cattiveria, al Billy di Phillip Addis, intrepido e rassegnato, vispo e poetico di gesto e di voce, imprendibile come tutti i grandi personaggi del teatro di Britten.