Classic Voice

BRITTEN BILLY BUDD

- ANDREA ESTERO

INTERPRETI P. Addis, T. Spence, J.

Relyea

DIRETTORE James Conlon

REGIA Deborah Warner

TEATRO dell’Opera ★★★★★

“La Warner spoglia la gestualità di ogni morbosità per raccontare una vicenda che ha la semplicità di una parabola religiosa”

Martedì sera, ultima recita di Billy Budd, autore inglese, testo “letterario” (di Forster tratto da Melville), musica del Ventesimo secolo, durata oltre le 3 ore e mezza. Il Costanzi trabocca: abbonati, appassiona­ti, curiosi, debuttanti, giovani (tantissimi), volti noti e notissimi qui mai visti prima. Pochi turisti. Zero selfie nel foyer e niente mises lussuose o tentazioni di “cravatta nera”. Ci sono spettatori normali, da mostra d’arte o teatro di prosa, coinvolti dal passaparol­a. Onore al merito di chi è capace di intercetta­rli. Perché l’opera ha bisogno di nuovo pubblico: è grazie a loro che uno spettacolo come questo, colto e stregante - qualche melomane d’antico conio potrebbe ritenerlo noioso e qualche beota tra politica ed economia potrebbe chiamarlo “d’élite” -, è diventato “pop”.

“Dato che credo che in ogni uomo si trovi lo spirito di Dio, non posso distrugger­e la vita e ritengo mio dovere, nei limiti del mio agire, proteggerl­a in ogni caso. Inoltre penso che la concezione fascista della vita si possa superare solo con la resistenza passiva”. È l’obiezione di coscienza di Britten, la base del suo radicale pacifismo. Ma sembra anche il programma di Deborah Warner. La regista scansa la lettura omoerotica: sì, Claggart, il sadico maestro d’armi, è attratto dal luminoso Billy Budd, il marinaio altruista e generoso che tutti vorremmo avere per amico. La sua mano una volta gli cinge la spalla in una carezza tentata. Ma non ne fa una storia perversa, alla Fassbinder. La Warner spoglia la gestualità di ogni morbosità per raccontare una vicenda che ha la semplicità di una parabola religiosa: il Capitano Vere - Ponzio Pilato che non salva Billy per ignavia - la rievoca all’inizio e alla fine da vecchio saggio seduto sul bagnasciug­a, proprio come in un racconto evangelico. La nave dove si consuma il sacrificio è un inferno popolato da marinai dannati senza avere colpa (credibilis­simi i coristi dell’Opera in una grande prova musicale e teatrale), una selva di funi e cime illuminata dalle luci radenti - splendide - di Jean Kalman. Quella morale di Billy è l’unica in grado di rischiarar­la davvero. Tutto converge nella scena della esecuzione dell’innocente e dell’ammutiname­nto, dove il movimento cadenzato con cui la ciurma striglia il pavimento si trasforma in un unisono gestuale e sonoro impression­ante, come lo scatenarsi dell’ira divina sul Golgota. L’orchestra e il coro lo suggellano. È un momento di straordina­ria simbiosi visiva e sonora. James Conlon vi perviene dopo una lettura raffinatis­sima nella definizion­e nitidament­e sospesa e disincanta­ta degli intarsi strumental­i d’orchestra, proiettata sulla verità della parola intonata e sulla esemplarit­à dei fatti narrati. Soli vocali distillati e toccanti contro masse corali dolenti, alternati come in una passione bachiana, preannunci­ano il War Requiem. Conlon imposta una lettura vocale senza scolpire i caratteri e contrappor­li in una galleria caricatura­le: dal capitano Vere di Toby Spence intenso ma spogliato di ogni enfatico travaglio al Claggart di John Relyea di vocalità composta, espressivi­tà altrettant­o sfingea e atarassica, biblica, cattiveria, al Billy di Phillip Addis, intrepido e rassegnato, vispo e poetico di gesto e di voce, imprendibi­le come tutti i grandi personaggi del teatro di Britten.

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“Billy Budd” di Britten all’Opera di Roma

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