Dopo sessant’anni di concertismo Alfred Brendel studia, scrive, approfondisce la letteratura quartettistica
Estremamente attento alla costruzione interpretativa. E su Schubert è convinto ci sia ancora molto da scoprire
Maestro Brendel, da tempo lei ha dovuto lasciare il concertismo. Ora, da dove ricava le maggiori emozioni in fatto di musica? Dall’ascolto di qualche registrazione, dall’andare ai concerti, dall’insegnamento, dallo studio?
“Mi pare un’ottima serie di domande per cominciare. Ma devo specificare subito che non ho ‘dovuto’, ma ‘voluto’ lasciare il concertismo. Dopo sessant’anni di carriera pianistica, non mi pareva nemmeno troppo presto, e infatti l’ho deciso senza versare una lacrima, né prima, né durante, né dopo. Diciamo che hanno pianto di più i miei amici e ascoltatori fedeli, e questo mi ha fatto capire che non era un passo indifferente anche per il pubblico; a dire il vero l’avevo già programmato in coincidenza con i miei settantacinque anni, cioè nel 2006. Ma mi sono poi lasciato convincere che si poteva ancora continuare per un paio di stagioni, un pe- riodo diciamo ‘fisiologico’ per preparare una conclusione che mi garantisse comunque di avere ancora il controllo di tutte le mie facoltà interpretative”.
E adesso?
“La musica resta il fondamento della mia vita: insomma la mia identità ed è un equilibrio tra pensiero ed emozioni, come sempre. Ne ricevo ancora tantissime, nonostante il fatto che da cinque anni un improvviso incidente all’udito abbia comportato come conseguenza di provocarmi gravi distorsioni, specialmente nelle sonorità forti e complesse. Ma continuo a frequentare i concerti, anche di musica contemporanea, che ha sempre costituito