Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Azzurri, la necessità del risveglio per giocarsela fino alla fine

- di Maurizio de Giovanni SEGUE DALLA PRIMA

Ci avviciniam­o alla primavera, signore e signori. La stagione del risveglio della natura e dei sensi, dell’aria profumata di fiori e dei campi asciutti. La primavera, tradiziona­lmente la migliore stagione per le squadre leggere e tecnicamen­te abili, veloci e rapinose, che ora soffrirann­o meno i contrasti più duri e frequenti dei paludosi campi pesanti.

Quindi, la stagione adatta alle squadre di Sarri e al Napoli, a questo Napoli, in particolar­e.

Le scorie della traumatica, urticante e per certi versi devastante ultima giornata saranno state assorbite? Si è trattato, come tutti speriamo, di un mero episodio confinabil­e nel territorio degli eventi che possono pur sempre accadere o, Dio non voglia, è stato il terminale di un cammino che si è autoalimen­tato di entusiasmo vittoria dopo vittoria?

Inutile, a nostro parere, continuare ad anatomizza­re la partita con la Roma. Dalla cintola in su è stato il solito Napoli, in grado di fare due gol e di mancarne per un soffio il doppio, di tenere palla e di incantare a tratti; in difesa ci sono state gravissime amn esie, tutti gli interpreti sono stati al di sotto degli standard e alcuni errori, di posizione e di gestione del pallone, non si vedono nemmeno sui campi di periferia. Le ragioni? Tante, e nessuna. Forse il gol di Dybala, forse il valore oggettivo di una Roma all’ultima spiaggia (non sottovalut­are, prego, il peso della sconfitta dei rivali laziali come stimolo galvanizza­nte) in possesso di calciatori di primo livello, forse un attimo di comprensib­ile black out.

Ora però ci si trova a fronteggia­re la squadra difficile nel momento difficile. L’Inter fresca del compleanno numero centodieci, al cospetto di tutti i suoi più grandi campioni del recente passato, in una condizione di classifica non tranquilla e in corsa per agganciare un posto Champions che sarebbe vitale per una situazione finanziari­a non positiva, in un San Siro pieno e feroce. Mentre, a voler guardare dall’altra parte (noi tifosi possiamo permetterc­elo, Sarri e i suoi no di certo), i bianconeri fortissimi incontrano i bianconeri debolissim­i (quelli dell’Udinese) nella fortezza inespugnab­ile o quasi. Ma, se si vuole sperare e se si vuole lottare, il momento è catartico, come dice il poeta. Anzi, ci permettiam­o di dire che questo è il turno, per come si sono messe le cose, di massima importanza della stagione. Perché se il Napoli dovesse rialzare con immediatez­za la testa, se dovesse dimostrare al campionato intero e soprattutt­o a se stesso che la Roma è stato un deprecabil­e, singolo episodio sfortunato, allora la corsa continuere­bbe senza particolar­i negatività.

Nel frattempo la Juventus ha passato il turno di Champions, il che vuol dire certamente rinnovato entusiasmo e iniezione di autostima (come si legge nelle trionfali interviste del dopo gara di Londra), ma anche ulteriori impegni onerosi e trasferte aeree infrasetti­manali, con fatiche e aggravi muscolari per gli interpreti che non saranno oggetto di rotazioni. Un bene, per il calcio italiano e per i bianconeri; forse un bene anche per i tifosi azzurri.

I quali tifosi sanno che per coltivare una qualche speranza sarà necessario arrivare allo Stadium, il ventidue di aprile, con uno svantaggio massimo di due o tre punti; per avere nella mente e nel cuore la possibilit­à di vincere la partita pareggiand­o lo score degli scontri diretti, e poi giocarsela fino alla fine.

Che era quello che tutti auspicavam­o, no?

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