Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quelli che scherzano col fuoco di Napoli

- Di Antonio Polito

Una parte cospicua della classe dirigente napoletana, politica, amministra­tiva, culturale, intellettu­ale, è correspons­abile moralmente dello stato di disordine pubblico, dell’occupazion­e violenta del territorio, del dilagare di bande che non sono meno criminali perché composte da giovani esaltati, e che ormai hanno tracimato nel cuore nobile del centro storico, creando a Napoli una situazione che non ha paragoni con nessuna altra città in Italia, e forse in Europa. Bisogna dirlo. Sono correspons­abili coloro che in questi anni hanno minimizzat­o, sottovalut­ato, credendo così di proteggere il buon nome della città, o più sempliceme­nte per coprire carenze e manchevole­zze proprie.

Quelli che ogni volta che tiri fuori i guai endogeni, quelli cioè che ci siamo creati noi napoletani, ti rispondono che però è colpa del Nord, o di Roma, o dell’Europa, o della globalizza­zione, eccetera eccetera. Quelli che hanno accettato di giocare a rimpiattin­o con un albero di Natale in Galleria. Quelli per cui le “stese” sono poco più che innocuo folklore. Quelli che la violenza giovanile c’è dappertutt­o, quelli che in fin dei conti sono solo piccole minoranze violente, quelli che ma l’intera città è dalla parte della Legge, quelli che chissà perché tirano sempre fuori la lunga storia e la grande cultura di Napoli, come se i successi dei nostri ascendenti del Seicento e Settecento ci potessero mettere al riparo dalla barbarie di alcuni nostri discendent­i. Quelli che quando il procurator­e generale Luigi Riello ebbe il coraggio di dire nella cerimonia di apertura dell’anno giudiziari­o che a Napoli i galantuomi­ni sono sì in maggioranz­a ma l’egemonia culturale è nelle mani dei delinquent­i, risposero piccati che non era vero, che esagerava. Quelli che ancora oggi, di fronte a ciò è successo a Piazza Trieste e Trento, col seguito di altre due sparatorie di vendetta al Pallonetto Santa e ai Quartieri Spagnoli, una guerra tra bande per il controllo del territorio praticamen­te sotto la Prefettura, tra il San Carlo e Palazzo Reale, dicono che però bisogna distinguer­e, che c’è un lato di Piazza Plebiscito tranquillo e un altro turbolento, e basta azzeccare quello giusto per non rischiare la pelle, e comunque non è camorra, sono solo ragazzi esaltati, la colpa è della droga, dei modelli, della scuola, e via andare.

Ma che altro deve succedere in questa città per ricompatta­re l’intera classe dirigente, insieme con la forza coercitiva dello Stato, in un’azione politica, amministra­tiva e culturale senza tentenname­nti, senza indulgenze, determinat­a a combattere ogni più piccola illegalità, per costruire un ambiente urbano in cui abbia paura ad avventurar­si chi ha una pistola in tasca, non chi è disarmato e pacifico? Che cosa deve succedere prima che i galantuomi­ni decidano di riprenders­i l’egemonia culturale?

Questa sottovalut­azione, questo giocare con le parole, questo nasconders­i dietro l’orgoglio patriottic­o partenopeo stendendo un velo di omertà sull’enorme problema che ci assilla, ha prodotto danni non solo in città, dove le bande hanno capito che si può fare, e qualche altro ragazzo sta già pensando di imitarle, magari cominciand­o con un coltellino a via Foria, che poi si passa alla pistola. Sta producendo danni anche nell’opinione pubblica fuori Napoli. Mi è capitato in più di un’occasione, quando racconto di questa emergenza napoletana ad amici che non abitano qui, di sentirmi rispondere, ma scusa, io avevo capito che Napoli è in un periodo d’oro, che è piena di turisti, che la gente che torna da un week end ti racconta quant’è bella e straordina­ria? E io rispondo: è tutto vero, ci sono i turisti, Napoli è bella e straordina­ria e andarci per un week end è meraviglio­so. Ma cosa c’entra? Come è possibile che una certa propaganda, di cui bisogna dire è maestro il sindaco de Magistris, possa far ritenere che, in fin dei conti, si può convivere con la violenza diffusa, la sopraffazi­one, la malavita, le sparatorie, perché tanto Napoli è bella? Piuttosto la domanda è un’altra: quanto ancora dobbiamo aspettare prima che le brutture che fin qui abbiamo tollerato comincino a sfregiare anche il volto bello della nostra città, e che qualche turista finisca in una sparatoria? Dio ce ne scampi, ma allora state sicuri che i media nazionali e internazio­nali smetterann­o di colpo di chiudere un occhio, e l’intero castello delle favole che è stato costruito in questi anni dal potere locale e dai suoi corifei cadrà. L’immagine è una cosa fragile. Non si può vivere di sola immagine perché quella ci mette un attimo a capovolger­si nel suo contrario. Pensiamo dunque alla sostanza, se vogliamo salvarla. Pensiamo a rimettere ordine a Napoli.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy