Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lezzi: no, e chi assume meridional­i under 45 non pagherà contributi

- Brandolini

«Ricordate che il contratto fu fatto in due versioni, prima non c’era neanche la parola Sud, poi fu rabberciat­o in una nottata quel paio di paginette. È chiaro che nella contrattaz­ione con Salvini, i 5 Stelle hanno dovuto cedere pur di avere il reddito di cittadinan­za». Ecco il punto, quella misura che a molti suona come sussidio per «stare sul divano», per altri un male necessario, per i grillini un totem inscalfibi­le. «Anche se difficile da realizzare». Domenico De Masi, sociologo, per conto del Movimento ha elaborato una ricerca sul reddito. Che ha parecchie controindi­cazioni: la prima temporale.

Professore andiamo con ordine. Quindi il Sud ha votato in massa i 5 Stelle per il reddito di cittadinan­za?

«Non solo. Ho sempre detto, al contrario di molti nordisti, che il Sud ha votato soprattutt­o sperando nel lavoro non nel reddito di cittadinan­za. In fondo il reddito significa volere più disoccupat­i».

Allora è contrario?

«Assolutame­nte no. C’è dovunque il reddito tranne che in Italia».

Il governo Gentiloni aveva finanziato il Reddito di inclusione.

«Ma il Reddito di cittadinan­za è una misura universale, ne fruiscono indistinta­mente tutti coloro che si trovano in una determinat­a condizione. Se ci mettessimo a chiedere a ognuno dei 6 milioni di poveri e disoccupat­i se hanno la barca, se hanno cercato lavoro o fatto formazione avremmo bisogno di un carrozzone per fare controlli, costerebbe talmente che non ne varrebbe la pena. Il Pd ha realizzato il Rei, duecento euro a testa per meno di due milioni di persone con una serie di paletti».

Ma, visto il risultato del Pd, non se ne è accorto nessuno.

«Perché per accertare quanti sono in situazione di povertà ci vogliono tanti mesi, di fatto non è ancora partito. Come farà ridere il reddito di Di Maio se i tempi saranno quelli che penso io».

Cioé?

«Abbiamo una platea di 6 milioni di poveri, si presuppone che facciano domanda di reddito, i dati devono essere trasferiti sul pc, poi si deve creare una banca dati nazionale che non esiste».

Quindi quanto tempo ci vuole?

«Calma, non è finita. Una volta fatta la piattaform­a bisogna accertare una serie di cose: se cioé chi richiede il reddito merita il sussidio, una volta accertato ogni giorno devo sapere se ha dedicato due ore alla ricerca del lavoro o ha svolto un corso di formazione o otto ore di lavoro nel suo comune. Non so se è chiaro il sarchiapon­e».

Il sarchiapon­e in Germania funziona.

«Il sarchiapon­e funziona perché è in Germania. Lì i disoccupat­i sono al 3,8 per cento, un terzo dell’Italia. Nei centri per l’impiego ci sono 111 mila dipendenti che costano 12 miliardi. In Italia col 10 per cento di disoccupaz­ione, ci sono 9 mila dipendenti e spendiamo per i centri per l’impiego 680 milioni».

E quanti dipendenti servirebbe­ro?

«Secondo i miei numeri almeno 60 mila. Significa che ammesso che questi 9 mila vadano bene, c’è da fare un lavoro enorme anche di formazione».

Quindi quanto tempo ci vuole perché si vada a regime?

«Io ho calcolato almeno 3 anni, lavorando sodo».

Di Maio lo sa?

«Di Maio ha un aspetto positivo: e cioé che questa riforma la deve e vuole fare. Un paese civile i centri per l’impiego ce li ha. Un tempo si entrava alla Fiat e si usciva dalla Fiat, oggi si trova un lavoro precario, poi si cerca qualche altra cosa. È necessario un ammortizza­tore».

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Il sociologo Domenico De Masi per conto di M5S ha elaborato una ricerca sul «reddito»

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