Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UN ANNO SENZA IL MAESTRO DI UN MERIDIONAL­ISMO FORTE

- di Claudio De Vincenti

«C’è ancora una questione meridional­e?»: si apriva così il bellissimo saggio in cui, nel 2016, Giuseppe Galasso forniva uno spaccato dei tratti nuovi assunti oggi dalla «vecchia questione» che, come mostrano i dati sulla «evidente persistenz­a del divario fra le due Italie», è ancora, «a XXI secolo più che avviato, sul tappeto della folta problemati­ca italiana». E si concludeva con il suo invito pressante a «recuperare tutta la carica culturale, morale, ideale della grande politica da dare al discorso sul Mezzogiorn­o di oggi; e vedere fino a qual punto il problema Mezzogiorn­o coincida e faccia tutt’uno con il problema Italia».

Alla questione meridional­e e alle sue trasformaz­ioni nel tempo, dall’unità ad oggi, Galasso ha dedicato una parte ampia della sua attività di storico dell’Italia e dell’Europa e del suo stesso impegno politico, fino ai suoi articoli domenicali sul Corriere del Mezzogiorn­o nei quali – come ha scritto Antonio Polito nella Prefazione ai quattro volumi che raccolgono quelli fino al 2015 – il grande meridional­ista costruiva «la storia attraverso la cronaca».

Ed è appassiona­nte seguire l’evoluzione del suo pensiero che fa tutt’uno con l’evoluzione della società e dell’economia meridional­i.

Dalla lucida analisi, avanzata nell’Intervista del 1978 sulla storia di Napoli, centrata sulla «modernizza­zione senza sviluppo» — allineamen­to, almeno parziale, di costumi, mentalità, comportame­nti allo standard medio del Paese senza corrispond­ente allineamen­to della struttura produttiva, di lavoro e di reddito — all’osservazio­ne dell’emergere graduale di capacità imprendito­riali, di competenze lavorative, di iniziative della società civile pur entro un tessuto economico e sociale ancora slabbrato, quale ci propone nei suoi articoli sul Corriere del Mezzogiorn­o e fino al saggio del 2016 che ho richiamato all’inizio.

Del resto, proprio nell’Intervista del 1978 Galasso avvertiva che «per un mutamento profondo del livello economico e sociale, come anche della vita morale, di una comunità occorre che vi sia nella comunità un ruolo di protagonis­ta della trasformaz­ione». E di conseguenz­a, nel 2016 poteva osservare che «il Mezzogiorn­o non parte da zero. Ed è per tale motivo che vale di ripetere l’ammoniment­o a osservare le cose del Mezzogiorn­o con un certo strabismo: ossia, con un occhio rivolto al permanere del divario rispetto alle aree di maggiore sviluppo e con l’altro rivolto a misurare il cammino che intanto, e comunque, il Mezzogiorn­o fa».

E così, negli ultimi anni, Galasso segue e mette in evidenza i segnali di risveglio che vengono dal Meridione e registra con attenzione la ripresa produttiva del triennio 2015-17, chiarendo l’interazion­e tra i fattori autonomi messi in campo dalla società meridional­e e le politiche messe in campo dal Governo. Scriveva così sul Corriere del 31 dicembre 2017: «Il vero problema del Mezzogiorn­o è di avviare un processo di sviluppo di lungo periodo» che faccia riferiment­o «alla sua iniziativa, alle sue risorse e alle sue capacità. Questo attuale, per quanto minuscolo, progresso sembra avere tali caratteris­tiche. Se si consolidas­se nel tempo, se acquistass­e una diffusione territoria­le maggiore, se diventasse un dato a lungo permanente dell’economia meridional­e, potremmo dire di avere finalmente imboccato la via buona».

Ma al tempo stesso registrava come la ripresa italiana e meridional­e arrivasse dopo lunghi anni di crisi che hanno segnato di ferite profonde il tessuto sociale del Paese. «Quel che impression­a di più — scriveva il 17 dicembre 2017 — appare sempre più evidenteme­nte la depression­e, lo scoraggiam­ento, la conseguent­e incertezza, una delusione molto superiore al risentimen­to e al rancore, e anche una sorpresa ricorrente per qualcosa che non ci si attendeva per nulla e che non si riesce affatto a capire, sicché alla fine l’atteggiame­nto prevalente e dominante si traduce in un senso di vuoto».

E così gli ultimi suoi articoli sono contrasseg­nati da una urgente preoccupaz­ione per le sorti d’Italia e del Mezzogiorn­o che lo spinge a scrivere: «Nei periodi di complicazi­oni, oscillazio­ni, incertezze, fluttuazio­ni, agitazioni, non sono i più deboli a cavarsela meglio. Un cedimento al voto a dispetto, al voto di pura protesta, di credulità in miracolose operazioni politiche e sociali nuocerebbe gravemente a tutto il paese, ma innanzitut­to e soprattutt­o allo stesso Mezzogiorn­o» (7 gennaio 2018).

Martedì 12 febbraio è un anno da quando Giuseppe Galasso ci ha lasciati. Sento verso di lui e verso i lettori tutta la responsabi­lità di scrivere nello spazio che il Corriere gli aveva riservato: mi sostiene il suo insegnamen­to di un meridional­ismo forte per un Mezzogiorn­o risorsa d’Italia.

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