Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Giuseppe Galasso, il nostro «democratico americano»
Martedì sarà un anno. Un anno senza Giuseppe Galasso. È il momento giusto per fermarci e chiederci cosa, di lui, ci manca di più. Il calore dell’amico? La bussola dei suoi commenti sul giornale? L’intelligenza delle analisi storiche?
Da giornalista rivolgo la domanda allo storico, a Luigi Mascilli Migliorini, premettendo che per entrambi Galasso è stato non solo un maestro ma anche un amico, appunto; e che per entrambi sarebbe fin troppo ovvio rispondere con un netto e tondissimo «tutto». Di Galasso ci manca tutto, è vero. Ma a me, ad esempio, manca in particolare quel suo modo di cogliere le novità pur sapendo che ogni fatto, ogni evento, ha sempre un precedente; e che, in un modo o in un altro, è già successo.
Per questo, dico al mio interlocutore, quando gli parlavo ne ricavavo l’impressione che i fatti, anche i peggiori, non lo prendessero mai alle spalle. «In altro modo — dice Mascilli Migliorini — provo anch’io a dire la stessa cosa. In effetti, quella di Galasso era una percezione quasi animale della novità. Non era, però, un innovatore, di quelli che si innamorano della novità per la novità. Mi viene in mente ciò che degli storici diceva un altro grande come Marc Bloch, e cioè che sono come gli orchi delle favole; che vanno dove c’è carne fresca. Galasso, però, aggiungeva a questo istinto naturale uno straordinario equilibrio che gli veniva dalla conoscenza storica e dalla vita stessa. Nella vita, ognuno di noi, ogni giorno, ripete se stesso, eppure non è mai la stessa persona. Con Galasso — continua Mascilli Migliorini — capitava di parlare anche di questo, a casa sua, sorseggiando un caffè...».
Magari sotto quel bel quadro di Paolo Ricci nel suo studio, giusto? «Già, un Pulcinella tutt’altro che oleografico...». Questo era l’uomo.
E il Galasso studioso? Qual è stata, chiedo, la sua intuizione più felice?
Mascilli Migliorini non ha dubbi: «Aver retto sul fronte dello storicismo nonostante lo sconquasso del Novecento. Prendiamo — spiega — il rapporto con Croce. Non è stato affatto univoco. Da Croce a Galasso, per capirci. Io sono sempre stato convinto, invece, che quello tra i due fosse un rapporto alla pari. Croce deve molto a Galasso, e senza di lui, senza i suoi studi, difficilmente sarebbe sopravvissuto al Novecento». Nel senso? «Nel senso — risponde Mascilli Migliorini — che nessun filosofo ha fatto per Croce quello che ha fatto lo storico Galasso. I filosofi si sono limitati a indagarlo sulla filosofia, e lungo questa unica strada lo avrebbero reso inservibile oltre il Novecento. Galasso invece lo attualizza, lo rende indispensabile come quei dieci-dodici intellettuali che hanno fatto l’Europa».
Eppure, confesso a Mascilli Migliorini, io penso che anche a Galasso non sempre sia riuscita la quadratura del cerchio. Alludo al difficile allineamento tra ragioni del meridionalismo e contrarietà a nuove forme di politiche speciali per il Mezzogiorno. Ho sempre trovato difficile, insomma, spiegare cosa intendesse Galasso quando invitava i governi a «smeridionalizzare» le politiche per il Sud. «Capisco. Ma ricordo — dice Mascilli Migliorini — che Galasso non ha mai rinnegato l’intervento speciale al tempo della Cassa per il Mezzogiorno. La questione si è posta dopo, e da autentico meridionalista Galasso ha spiegato a tutti che non può esserci superamento del dualismo se non si mette mano alle forme stesse dell’economia; se non si trova un nuovo equilibrio dei fattori produttivi».
Tuttavia, anche Mascilli Migliorini ha una confessione da fare. «A proposito di quadrature non riuscite, ad esempio, io credo che ci sia quella — per me decisiva — della democrazia repubblicana». Una questione assolutamente attuale, considerato il successo dei populisti e vista la crisi dei partiti liberal-democratici. Vediamola. «Provo a metterla così. Galasso — dice Mascilli Migliorini — non è mai stato un liberale. È sempre stato, semmai, della famiglia dei democratici, quella che, per capirci e prendendola alla lontana, da Rousseau porta a Cattaneo e a Mazzini. Ma perché fosse più chiara la radice della sua idea politica si è sempre definito un democratico americano. Detto questo, se l’evoluzione di quel pensiero non è bastata, in Italia, a creare un polo maggioritario, alternativo al liberalismo e al socialismo, io non credo che ciò si possa spiegare solo con la contingenta storica».
Cosa avrebbero dovuto fare i nostri democratici «americani»? «Difendere le proprie radici culturali, certo, ma anche cercare di occupare o di contribuire a creare spazi politici più ampi. E invece anche dopo i fatti del ‘56, il repubblicano La Malfa e il socialista Giolitti, tanto per dire, si parlarono poco. Forse qualcosa stava per accadere con un altro repubblicano, con Spadolini, ma la storia, come si sa, a quel punto prese tutta un’altra direzione, e dopo la caduta del muro è cambiato il mondo». Galasso più Lamalfiano che Spadoliniano? È così? Anche lui non è riuscito ad allargare lo spazio tra liberali e socialisti? “Direi di sì. Se proprio dobbiamo, mettiamola così».
Un’ultima questione. Galasso ha fatto molto per Napoli. Cosa, invece, Napoli potrebbe fare per lui? «È una questione delicata. Ma forse basterebbe — risponde Mascilli Migliorini — che i napoletani riconoscessero di avere avuto a Napoli uno straordinario uomo del mondo. Che evitassero, cioè, di legarlo alla napoletanità. La vita di Galasso, semmai, testimonia, nonostante quel che pensano tanti intellettuali, quanto poco provinciale sia la nostra città. Molti di questi intellettuali restano a Napoli solo perché non sono riusciti ad andare altrove. Galasso, invece, è stato europeo rimanendo qui e vivendo nella sua casa di Pozzuoli. Mai ha esibito le sue relazioni o l’altezza della sua figura intellettuale». Esibiva, semmai, e senza imbarazzo, il Pulcinella di Paolo Ricci. Giusto? «Già, proprio così», chiosa ridendo Mascilli Migliorini. Il quale, non a caso, ha insistito con Laterza perché la sua introduzione alla recente ristampa della intervista di Galasso su Napoli avesse un titolo speciale. Questo. «Un napoletano a Napoli».