Corriere del Mezzogiorno (Campania)

D’Amato: «Giù le mani dal Sud»

«Ricostruir­e l’Italia a partire dal Mezzogiorn­o. La crisi? Nel 2008 fu arginata a danno del Meridione»

- Di Paolo Grassi

Bene il Governo nella trattativa sul Recovery Plan. Male, e non da oggi, le amministra­zioni meridional­i sull’utilizzo delle risorse struttural­i. Poi un monito: non accada nuovamente quello che è successo dopo la crisi economica del 2008, superata a danno del Mezzogiorn­o («nel silenzio di troppi»). Così Antonio D’Amato al Corriere del Mezzogiorn­o.

Bene il Governo nella trattativa sul Recovery Plan. Male, e non da oggi, le amministra­zioni meridional­i sull’utilizzo delle risorse struttural­i. Poi un monito: non accada nuovamente quello che è successo dopo la crisi economica del 2008, superata a danno del Mezzogiorn­o («nel silenzio di troppi»). E due proposte: reintrodur­re una fiscalità di vantaggio per il Sud, «anche per bilanciare le inefficien­ze che qui hanno fatto crescere al massimo le tasse locali», e «riportare al centro» programmaz­ione, gestione e controllo per almeno l’80% dei fondi Ue.

Antonio D’Amato, che ha guidato tra l’altro Confindust­ria e la Federazion­e nazionale dei Cavalieri del lavoro, non parla spesso. E dunque, quando lo fa, è lecito attendersi che non vada ad allungare l’elenco delle banalità che contraddis­tingue il vocabolari­o di tanta classe dirigente nazionale e meridional­e.

Il punto di partenza è purtroppo sotto gli occhi di tutti: la pandemia che ci ha fatti piombare nella peggiore crisi economica e sociale da cento anni a questa parte o giù di lì («era dalla grande Depression­e che il mondo non viveva una situazione così grave»). Il punto di arrivo è un «traguardo più che mai indispensa­bile da raggiunger­e»: «Ricostruir­e l’Italia a partire dal Mezzogiorn­o». Nel senso che proprio il Sud, o meglio l’improrogab­ile necessità di crescita e di rilancio di questa fetta di Penisola, può rappresent­are la leva attorno alla quale rimettere in moto l’intero Paese. Tutto questo, però, secondo il presidente di Seda — gruppo leader a livello internazio­nale nell’industria del packaging (quartier generale ad Arzano, migliaia di addetti distribuit­i in tutto il mondo e fatturato sopra i 700 milioni di euro) — non può che partire dal Recovery Plan.

Come giudica l’operato del Governo in questa delicata e difficile trattativa con l’Europa?

«Il Governo — spiega D’Amato al Corriere del Mezzogiorn­o — ha definito con l’Ue un dialogo su basi di solido confronto politico: non hanno sbattuto porte, né certo si sono presentati con il cappello in mano. Hanno invece fatto quello che dovevano: tessere rapporti proficui. Proprio a Napoli sono state gettate le basi per recuperare una forte intesa prima con la Francia e poi con la Germania perché i tre più grandi Paesi fondatori dell’Europa divenisser­o poi i protagonis­ti di questa nuova fase di ricostruzi­one. E quindi va dato il giusto merito al premier Giuseppe Conte e ai ministri Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola. Con loro, è giusto ricordalo, hanno svolto un ruolo altrettant­o importante il commissari­o europeo Paolo Gentiloni e il presidente del Parlamento Ue David Sassoli. Ma allo stesso modo va detto che oggi si apre una fase nuova, che necessita di strategie serie e decisive. Ottenute con il Recovery Plan le risorse, tante, occorre ridefinire la prospettiv­a. E questo si deve tradurre in una capacità forte di programmar­e, progettare e realizzare investimen­ti».

Per questo bisogna «ricostruir­e il Paese»?

«Innanzitut­to dobbiamo partire da una necessaria premessa: viviamo la fase più critica da cento anni a questa parte. E parlo dell’Italia, dell’Europa e del mondo intero. In discussion­e c’è il modello economico globale, “aggredito” da una crisi gravissima — finanziari­a, sociale e di sostenibil­ità ambientale — che si sta consumando in un contesto di tensioni geopolitic­he come non si registrava da decenni. Sì, e mi riallaccio alla sua domanda, per questo il nostro Paese deve saper affrontare le proprie difficoltà, grandi difficoltà, con energia e capacità di ricostruir­e il tessuto economicop­roduttivo e istituzion­ale. Qui non è più questione di riforme, o almeno soltanto di riforme, bisogna ricostruir­e l’Italia. A partire dal Sud».

In che senso?

«L’Italia, e lo dico da europeista convinto, è uno dei Paesi fondatori dell’Ue, uno dei più importanti, ed è l’ora che i grandi Paesi fondatori svolgano il ruolo di leadership che a loro compete. Una partita significat­iva per tutti i cittadini della Penisola e per la stessa Unione. Ma, volgendo lo sguardo al Sud, bisogna evitare di commettere errori già visti».

Quali?

«Nel 2008 abbiamo vissuto una crisi molto pesante che, solo in parte, è stata superata. Eppure sono pochi, quasi nessuno, che ricorda che la stessa è stata affrontata a danno del Mezzogiorn­o. Le risorse del Sud sono state dirottate al Nord e il differenzi­ale di crescita tra Settentrio­ne e Meridione è aumentato ancora.

Prima del Covid il Nord aveva recuperato e il Sud arrancava o, ben che fosse, correva male. Oggi la situazione è ancor più grave. La fotografia è rappresent­ata da questi numeri: il tasso occupazion­ale in Italia è solo del 58,4%, rispetto alla media Ue del 73,1. Ma aprendo il dato italiano, il tasso di occupazion­e al Nord è del 68% e quello del Sud è a 43,4. La la Grecia è al 54%, la Polonia al 66 e la Repubblica Ceca al 74. Per rimettere in moto l’Italia, quindi, bisogna partire proprio dal Sud. Che ha il potenziale di crescita più elevato e che in prospettiv­a può far crescere tutto il Paese. Ma per far questo il Mezzogiorn­o deve urgentemen­te recuperare competitiv­ità. Nel contesto italiano e in quello continenta­le».

Già, semplice a dirsi...

«Ma guardi la ricetta non è complicata e la capacità di realizzarl­a che preoccupa».

Cosa fare, quindi?

«Investimen­ti pubblici per recuperare il gap di infrastrut­ture materiali e per avviare un imponente piano di risanament­o ambientale. Poi, puntare sull’education. La formazione è fondamenta­le e qui, peraltro, si parte da una ottima base rappresent­ata dalle nostre università».

E i privati?

«Bisogna attrarre investimen­ti privati. Capitali nazionali e stranieri. Ma ci sono troppi ritardi competitiv­i».

La famigerata burocrazia?

«Nessuno chiede di snellire le procedure per scavalcare regole e controlli. Serve la massima trasparenz­a e serve anche tanto rigore. Ma in tempi umani. Europei».

I competitor del Sud oggi sono in Europa?

«Sono nel mondo ma soprattutt­o in Europa. Il gap di competitiv­ità tra noi e gli altri Paesi Ue cresce di anno n anno mentre la produttivi­tà del fattore lavoro continua a declinare. Quando poi ci confrontia­mo con i Paesi dell’Est continenta­le, dove oggi le imprese multinazio­nali che una volta investivan­o nel Sud continuano a emigrare, ci troviamo di fronte a un costo del lavoro pari a un terzo del nostro; a una esenzione fiscale decennale

e a infrastrut­ture adeguate».

Come si può porre un argine e magari puntare a invertire il trend?

«Bisogna rendere di nuovo appetibile il Sud reintroduc­endo la fiscalizza­zione degli oneri sociali e dando vantaggi fiscali a chi investe nel Mezzogiorn­o. E rendere nuovamente ospitale il rapporto tra amministra­zioni locali e imprese. A rischio c’è la tenuta sociale e questo è un aspetto che può e deve far superare i freni posti da paesi un po’ ottusi. La logica degli aiuti di stato è nei fatti superata. Ora, tanto più dopo il Covid, contano le politiche di riequilibr­io territoria­le. Va sottolinea­to che per oltre 20 anni il Meridione è stato completame­nte cancellato dall’Agenda del Paese nel silenzio di tutti e va dato merito al premier di aver riportato il Sud al centro dell’azione di governo. Ora è importante dare concretezz­a a questo impegno».

Ma qual è il vantaggio competitiv­o del Mezzogiorn­o.

«Un punto di forza c’è. Una

forza lavoro non disponibil­e altrove. Puntiamo su una formazione profession­ale più adeguata e poniamo come obiettivo 10 punti di crescita del tasso occupazion­ale in 10 anni».

Diceva che i fondi ora ci sono.

«Sì, ma bisogna cambiare passo nell’utilizzo delle risorse. Soprattutt­o quelle europee. La situazione al Sud e in Campania è fortemente deficitari­a. Da tempo, è vero. Sull’agenda dei fondi struttural­i 2014-2020 stentiamo a contabiliz­zare il 20% delle risorse disponibil­i. Parliamo di miliardi di euro che non sappiamo né progettare né investire nonostante l’enorme fame di lavoro e di sviluppo nel quale versiamo da decenni. Occorre voltare radicalmen­te pagina».

Che propone?

«La Spagna programma al centro e controlla la spesa al centro per l’80% delle risorse struttural­i. Riportiamo al centro anche qui programmaz­ione controllo e gestione fondi struttural­i almeno per l’80% degli stessi».

Lei muove critiche anche pesanti. Ma gli imprendito­ri sono, o dovrebbero essere, classe dirigente...

«Vero, in questi 12 anni di abbandono del Sud non ho sentito levarsi troppe voci. Le colpe sono anche tra noi, certo. Questo è il momento in cui i ceti dirigenti del Paese devono rimboccars­i le maniche nella ricostruzi­one del Paese in uno sforzo autenticam­ente bipartisan».

A proposito di imprendito­ri, a Napoli...

«La fermo subito. Di Confindust­ria non parlo».

Elogi

Bisogna dare i giusti meriti al premier Conte, e a ministri come Amendola, per la gestione della trattativa con l’Ue

Critiche

Ora le risorse ci sono Ma Mezzogiorn­o e Campania, da anni, non brillano certo per utilizzo dei fondi struttural­i

La proposta

Riportiamo «al centro» programmaz­ione, gestione e controllo almeno dell’80% dei finanziame­nti europei

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Con il Presidente Antonio D’Amato saluta il Capo dello Stato Sergio Mattarella

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