Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Scarcerato per Covid, torna in cella Pasquale Zagaria
Provvedimento del magistrato di sorveglianza di Brescia: tutela della salute garantita anche a Opera
NAPOLI «Non si ravvisano, allo stato, le condizioni per la proroga della misura domiciliare, anche concentrandosi esclusivamente sul profilo medico sanitario che appare, in tutta evidenza, tranquillizzante, sia in punto prognostico sia in relazione alla tutela del diritto alla salute, assolutamente preservabile anche in detenzione carceraria». Lo scrive il magistrato di sorveglianza di Brescia Alessandro Zaniboni nel provvedimento con cui ha respinto «la proposta di proroga del differimento della esecuzione della pena concesso nelle forme della detenzione domiciliare» per Pasquale Zagaria, ergastolano e fratello del capoclan dei Casalesi Michele. Zagaria, dunque, nel carcere di Opera può curare le patologie da cui è affetto e da ieri è di nuovo in cella, in regime di 41 bis. Era tornato in libertà ad aprile, in piena emergenza sanitaria, come molti altri detenuti pericolosi. La decisione del giudice di Sassari aveva suscitato un polverone e si era cercato di porre rimedio con un decreto voluto dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Il suo ritorno in cella completa la lista dei boss al 41 bis scarcerati durante l’emergenza Covid tornati dietro le sbarre.
Il provvedimento che ripristina il carcere per Pasquale Zagaria è stato individuato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, come previsto dal decreto legge approvato nel maggio scorso, che consente al Dap di comunicare alla magistratura di sorveglianza l’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato può scontare la pena con l’adeguata assistenza sanitaria. Dopo qualche ora dalla notifica dell’ordinanza, il ministro Bonafede, accogliendo le proposte espresse dalla Dna e dalla Dda di Napoli, ha firmato il decreto con il quale viene ripristinata l’applicazione del regime speciale previsto.
«Anche dalla recente relazione sanitaria del 17 settembre — scrive ancora il giudice di Brescia —si desumono condizioni cliniche compatibili non solo con la carcerazione ma,soprattutto, con il rispetto del diritto alla salute del detenuto». Appaiono «pleonastiche considerazioni in punto di pericolosità sociale, semmai rilevanti in provvedimento con diverso esito finale. È di tutta evidenza che non possa nemmeno accennarsi ad un potenziale conflitto con il senso di umanità nel caso della prosecuzione del trattamento medico» in carcere «con tutte le cautele che i responsabili sanitari riterranno di adottare di volta in volta».
Ieri è diventata definitiva la sentenza di condanna a sette anni per associazione camorristica anche nei confronti della sorella Elvira. Si tratta dell’inchiesta sulle infiltrazioni del clan nell’ospedale di Caserta: la Cassazione si è pronunciata dopo due annullamenti con rinvio.