Corriere del Mezzogiorno (Campania)
DIRITTO ALLA SALUTE E CONFLITTI DI POTERE
Due questioni che di recente trovano spazio nelle pagine dei quotidiani s’insinuano, pur ai margini, nel dibattito dominato dai tanti aspetti della pandemia che ci assilla; con la sua scia di vittime, l’immiserimento di milioni di cittadini, l’incerto futuro dei giovani privati di regolari percorsi formativi e chiamati a fronteggiare in futuro immensi debiti oggi contratti dal Paese. Parlo di problemi da anni controversi. L’uno definibile «problema delle autonomie»; l’altro «problema giustizia». Perché richiamarli in tempi di pandemia? Il primo, pur se indirettamente, è connesso alla tempesta innescata dal Covid 19, nella misura in cui emergono contrasti tra scelte di governo e linee di gestione sanitaria delle diverse regioni.
A riproporre il secondo tema, alimentando un dibattito perennemente serpeggiante, è stata solo la contiguità temporale d’un accadimento recente. Problemi, entrambi, di equilibri di poteri. Tra Stato centrale e regioni; e tra politica e magistratura. Il progressivo accrescimento delle autonomie regionali, da un lato e, dall’altro, il preponderante ruolo della magistratura inquirente su atti e personaggi della politica centrale e locale, sono ormai aspetti emblematici di quella
che s’è convenuto definire la seconda Repubblica. Lo spazio che tali temi, per circostanze diverse, riacquistano oggi in cronache e commenti ne conferma la perdurante rilevanza a fronte della struttura istituzionale del Paese.
Significativo m’è sembrato che il riemergere di siffatti problemi sia anche scaturito da vicende riconducibili alla Campania. Segnatamente alle figure, eminenti nella recente storia politica regionale, di Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca. Attiene al problema giustizia il caso Bassolino. Travolto, quando governava la Campania, dall’onda lunga di quella «tangentopoli» esplosa in Milano negli anni 90. Ne furono ben noti gli effetti: fine del sistema dei partiti, potere crescente della magistratura inquirente, diffondersi del pensiero «giustizialista» nelle fila della sinistra, poi eretto a fondamento del movimento grillino nel suo
divenire partito di governo. Bassolino fu tra le vittime di quella temperie. Costretto a difendersi in 19 processi e sempre assolto. L’ultima volta due settimane fa. Un decennio di sofferenze; un’emarginazione pavidamente impostaglia da compagni di partito. «Paccheri in faccia», si dice a Napoli. È giusto che aneli a restituirli, riproponendosi quale sindaco nella Napoli sprofondata in una palude da politicanti mediocri.
Ma attenzione, ha commentato Pierluigi Battista (Corriere della sera, 16 XI): sono molti, e tanti ne ha citati, i politici «stritolati ed assolti» da azioni giudiziarie. Incoraggiate da rivali «manettari» nell’ambizione di contrastarne il potere, ed enfatizzate dai media «giustizialisti». Domenico Lepore, capo della Procura ai tempi delle denunzie a Bassolino, ha confessato che nel suo caso «qualche errore lo abbiamo
commesso» (Corriere del Mezzogiorno, 17 XI). Lepore è gentiluomo e magistrato onesto; ma grave l’ammissione che talune denunzie fossero promosse da suoi sostituti per accelerare soluzioni del problema dei rifiuti. A ciascuno il suo: sta agli elettori punire inefficienze di pubblici amministratori; ai Pm competono solo reati veri, non supposti. Temo che ci vorranno ancora anni di accalorati dibattiti perché più rasserenati equilibri s’individuino tra politica e giustizia.
Ho menzionato De Luca, presidente riconfermato della Campania e soprattutto protagonista di accese polemiche con il governo in questa fase dell’epidemia che colpisce regioni meridionali più di quanto non accaduto in primavera. De Luca tuona per quelle da lui ritenute inadempienze dei ministeri competenti ad assicurare risorse umane e materiali alla sanità campana, nonché per tempi e modi con i quali si decretava la collocazione della regione prima in «zona gialla» e poi in «rossa». Ma sullo sfondo emerge un problema dominante. Detto in breve, la modifica del titolo V della Costituzione che, sancita dal referendum del 2001, ha creato 21 autonomi sistemi sanitari. I quali scricchiolano all’impatto con la pandemia. Soprattutto dove le strutture più deboli son rimaste tali essendosi rivelati inadeguati i meccanismi per perequarne le dotazioni.
Autorevoli commentatori argomentano che per rendere eguale per tutti, in ogni regione, il «diritto alla salute» occorre «ridurre i localismi». Più centralismo è invocato nella maggioranza di governo. Anche al riguardo temo contrasti trascinati negli anni.