Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Mi difese dagli abusi e fu uccisa Vi racconto la mia grande mamma»
Alessandra Cuevas è la figlia di Teresa Buonocore, assassinata il 20 settembre di dieci anni fa «Le donne sono lasciate ancora troppo sole»
«Quando mamma venne a sapere degli abusi che avevo subìto lottò con tutte le sue forze per avere giustizia, ma a me non trasmise mai ansia o paura. Mi diceva sempre: andrà tutto bene. La serenità che ha saputo infondermi è il ricordo più bello che ho di lei». Alessandra Cuevas è la maggiore delle due figlie di Teresa Buonocore, assassinata il 20 settembre di dieci anni fa. «Hanno chiamato mia madre mamma coraggio, io continuo a considerarla solo una madre che desiderava giustizia per sua figlia. Donna forte e positiva».
NAPOLI «Quando mamma venne a sapere degli abusi che avevo subìto lottò con tutte le sue forze per avere giustizia, ma a me non trasmise mai ansia o paura. Mi diceva sempre: andrà tutto bene. La serenità che ha saputo infondermi è il ricordo più bello che ho di lei». Alessandra Cuevas è la maggiore delle due figlie di Teresa Buonocore, assassinata il 20 settembre di dieci anni fa: due sicari assoldati dall’autore di quegli abusi le spararono mentre in auto percorreva via Ponte dei Granili. Il mandante, Enrico Perillo, che Teresa considerava un amico oltre che un vicino di casa, è stato condannato con sentenza definitiva all’ergastolo; gli esecutori materiali, Alberto Amendola e Giuseppe Avolio, stanno scontando invece condanne rispettivamente a 22 e 18 anni. Oggi la figlia maggiore (dal primo matrimonio aveva avuto due maschi) ha 23 anni e studia Lettere moderne all’ Università di Salerno.
Alessandra, oggi ricorre la giornata contro la violenza sulle donne. Che cosa ti viene in mente quando ci pensi?
«Che per le donne è ancora molto difficile denunciare, spesso non ce la fanno perché non hanno i mezzi o il sostegno».
Tua madre lo fece nonostante tutto: per questo l’hanno chiamata mamma coraggio.
«Sì, l’hanno chiamata così, ma io continuo a considerarla solo una madre che desiderava giustizia per sua figlia. Io, in un certo senso, nella sfortuna sono stata fortunata: dopo gli abusi, lei ha voluto per me i migliori psicologi, i migliori sostegni. Anche dopo la sua morte è stato così, grazie a mia zia Pina che ne ha preso il testimone. Ma molte donne purtroppo non hanno risorse e non possono contare sul sostegno di nessuno: a questo, secondo me, dovrebbe ovviare lo Stato».
In questi dieci anni molte cose sono cambiate in meglio: è stato varato il Codice rosso, a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere; negli ospedali sono stati istituiti sportelli a sostegno di chi finisce in Pronto soccorso dopo percosse o violenze sessuali...
«È la direzione giusta, ma mi sento di dire che bisogna impegnarsi di più. Sono tantissime le donne, alcune delle quali mi hanno contattato personalmente, che vorrebbero denunciare uomini violenti, ma non ce la fanno. È difficile da molti punti di vista».
Anche da quello economico...
«Senz’altro. Ricordo che, durante il processo per gli abusi, qualcuno offrì a mamma 120.000 euro se avesse ritirato la denuncia. Lei potè permettersi di rispondere “no” con indignazione, ma tante altre donne, temo, non
sono in condizione di poterlo fare. E poi sono vicende che vanno per le lunghe, reggere è dura».
In qualche modo anche a te è toccato farti avanti contro l’uomo che ti aveva fatto del male, anche se la denuncia l’aveva presentata tua madre...
«L’ho incontrato più volte in un’aula di Tribunale e non è mai stato facile, mai. Ricordo che una volta, all’uscita, sono tornata a casa e ho dormito per un tempo lunghissimo, nemmeno io ricordo più per quanto».
Che cosa ricordi di quel giorno maledetto?
«Fu un dolore indicibile e improvviso: il giorno prima
eravamo andati al cinema, il giorno dopo mamma era morta. Dall’omicidio al funerale trascorsero dieci giorni e io li ricordo tutti, uno per uno, in ogni dettaglio. Ma non ho ancora tutto chiaro in mente, penso che mi ci vorranno degli anni per elaborare tutto».
Quanto è stato importante, dopo la morte di tua madre, avere una famiglia su cui contare?
«Moltissimo, ovviamente, e proprio per questo ripeto che troppe donne sono invece sole. Io ho mia sorella Michelle, che studia al Dams di Fisciano, e ho mia zia Pina, che anche nel carattere assomiglia a mamma: è forte e positiva».
L’ho conosciuta, è una roccia.
«Tu pensa che il primo ottobre del 2010, il giorno dei funerali, il suo compagno compiva 40 anni. Siamo state in chiesa, abbiamo accompagnato mamma al cimitero, ma poi siamo andate a comprare una torta di compleanno. Mamma sarebbe stata assolutamente d’accordo: la morte non deve prevalere sulla vita, il dolore non deve avere la meglio sulla gioia».
È doveroso ricordare che, nei giorni bui seguiti alla morte di Teresa Buonocore, come la stessa Pina ha più
Il mio sconforto
Purtroppo è ancora molto difficile denunciare, spesso non ce la fanno perché non hanno i mezzi o il sostegno
Il suo amore
Io, in un certo senso, nella sfortuna sono stata fortunata: dopo gli abusi, lei ha voluto per me i migliori psicologi, i migliori sostegni
Il mio aguzzino
L’ho incontrato più volte in un’aula di Tribunale Una volta, all’uscita, sono tornata a casa e ho dormito per un tempo lunghissimo
La mia fortuna
Mia sorella Michelle che studia al Dams di Fisciano, poi c’è zia Pina, che assomiglia a mamma: è forte e positiva
volte riferito al Corriere del
Mezzogiorno, una delle poche persone che si adoperarono per la sua famiglia fu Vincenzo De Luca, all’epoca sindaco di Salerno e oggi presidente della Regione, che mise a disposizione un appartamento e offrì un lavoro alla sorella della vittima: questo è il motivo per cui, ancora oggi, Alessandra e Michelle vivono a Salerno.
Nel novembre del 2017, proprio alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, conferì a Teresa Buonocore la medaglia d’oro al valor civile, che fu consegnata ai familiari il 2 giugno successivo: «Nobile esempio di straordinario amore materno e di eccezionali virtù civiche, spinte fino all’estremo sacrificio», si legge nelle motivazioni. Due lapidi la ricordano: una nel cimitero di Portici, la città in cui Teresa viveva, la cui foto compare nella pagina Facebook di Alessandra; l’altra in via Ponte dei Granili, nel luogo in cui gli assassini aprirono il fuoco contro la donna. Sulla vicenda è stato anche scritto un libro, edito da Iuppiter: l’autore è il giudice Carlo Spagna, oggi in pensione; presiedeva la Corte d’Assise che inflisse la prima condanna all’ergastolo nei confronti di Enrico Perillo. Nel corso del dibattimento emerse la personalità deviata dell’imputato, che in garage nascondeva un arsenale: cinque pistole, due pistole mitragliatrici, 2.632 cartucce di vario calibro (molte a palla blindata, perforanti ed a pallettoni), due giubbotti antiproiettile e diciotto caricatori.