Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Partita d’addio, perché Cassano dirà ancora no
Antonio Cassano a Bari per una partita passerella di addio al calcio? Impossibile: il suo percorso di vita non porta a un simile celebrativo epilogo. Gran brutta cosa rinnegare le origini. Ma tant’è: Cassano lo ha fatto. Mi permetto di scomodare Freud, per spiegare il Cassano «traditore». Ha maturato strada facendo un distacco dal cordone ombelicale: la città di Bari.
Antonio Cassano a Bari per una partita-passerella di addio al calcio? Impossibile: il suo percorso di vita non porta a un simile celebrativo epilogo. Per rispondere in maniera così perentoria, ho rivisitato Cassano dalla A alla Z, da quando toccava il pallone 1300 volte e da quando faceva il matto con il Vespino nero a Bari Vecchia, capa calla, scurnacchiato, quello che «doveva fare il macello» nelle partite, il Cassano dipinto da Pippo Mezzapesa nel suo bellissimo cortometraggio.
Il Cassano degli ultimi anni, quello di oggi, viene fuori ricordando quel Cassano, del quale addirittura si parlò ai margini di un convegno di psichiatria a Firenze. All’epoca, Palmiero Monteleone, docente presso la Seconda Università di Napoli, sottolineò come «certi comportamenti (leggi Cassanate) sfiorassero caratteristiche che quanto meno segnalavano un disagio psicologico e della personalità che magari necessitava di aiuti specialistici».
Tesi estrema, non del tutto condivisibile. Semmai Cassano ha dovuto fare i conti con un’infanzia difficile, in un tessuto familiare e sociale davvero precario. Lui era uno di quelli che sarebbe stato assimilabile ai personaggi dei film di Alessandro Piva, “La capa gira” e “Il cognato”. Un passato pesante portato al seguito del suo tour calcistico: Roma, Real Madrid, Sampdoria, Milan, Inter...
Non è stato semplice per uno scurnacchiato. Che di certo ha cercato di essere “sdoganato”. Primo passo: il matrimonio con Carolina Marcialis, genovese di estrazione borghese. Amore e metamorfosi cercata: Cassano ha imparato a parlare, è andato perfino da Fazio e a Sanremo. Secondo passo: completamento della rimozione già avviata. Ossia Bari e soprattutto Bari Vecchia, con tutta la sua fauna variegata, da cancellare. Una circostanza rammentata ieri da Carlo Altini, segretario del Partito socialista dell’Area metropolitana di Bari, che sostiene la tesi della partita di addio al San Nicola «a patto che Antonio regali una scuola calcio ai ragazzi che, come lui in passato, corrono borderline tra la legalità e la mafia».
Gran brutta cosa rinnegare le origini. Ma tant’è: Cassano lo ha fatto. Mi permetto di scomodare Freud, per spiegare il Cassano “traditore”: «La rimozione può essere considerata come un meccanismo psichico universale: si tratta di un’operazione mentale mediante la quale il soggetto cerca di respingere nell’inconscio, ed ivi mantenerle, le rappresentazioni legate a pulsioni negative che possono influire sul soddisfacimento di un nuovo piacere, di una nuova felicità». In parole povere, Antonio Cassano, accanto ad una carriera pallonara che poteva essere molto più alta, ha maturato via via un distacco dal cordone ombelicale: la città di Bari, la città di sua madre, non è più nella sua testa e nella sua anima. Rimossa. Piaccia o non piaccia.