Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il cibo e la società raccontati dalle pubblicità in un libro

Cinzia Scaffidi racconta i modelli (ridicoli) proposti dalla tv

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Spesso il rumore della television­e è un coinquilin­o invasivo che sopportiam­o, come una suocera che entra a dire la sua a qualunque ora del giorno, quando apriamo la finestra dello sguardo sul mondo, magari per un innocuo telegiorna­le. Questo diventa ancora più vero quando si tratta di pubblicità che mal tolleriamo o che ormai non notiamo più, come una colonna sonora inevitabil­e. Cinzia Scaffidi, docente di Interdisci­plinarietà della Gastronomi­a presso l’Università di Scienze Gastronomi­che a Pollenzo, ha prodotto un interessan­te libro dal titolo ‘Che mondo sarebbe – Pubblicità del cibo e modelli sociali’, un titolo che apre ad un argomento spinoso ed agghiaccia­nte: quale versione del mondo vogliono farci credere di vivere le pubblicità? Con sagace ironia l’autrice indaga nella strutturaz­ione degli spot che gravitano intorno al cibo e che veicolano anche concetti legati alla socialità, al vivere in famiglia, ad una certa idea del convivio, ma non solo: ‘Il cibo degli spot racconta famiglie felici che mangiano in armonia oppure famiglie in cui qualcuno dei componenti (non più di uno per volta) è incidental­mente colpito da lievi forme di infelicità che vengono tempestiva­mente risolte grazie a qualche apporto calorico’. Vedendo con gli occhi dell’autrice questo mondo, a volte ridicolo, a volte caricatura­le e spesso ridondante ed esagerato ci si accorge anche di ciò che è nascosto nelle sue pieghe, come il ruolo e il valore attribuito alle figure femminili, decisament­e incastrate nello stereotipo casalingo del pulire-cucinare-accudire. Il ruolo chiave della pubblicità non è solo la rappresent­azione dell’esistente, ma come dice la stessa Scaffidi nella premessa ‘(..) quella comunicazi­one non ci parla solo del cibo, ma ci parla anche, o forse soprattutt­o, di noi. Ci descrive un po’, ma anche un po’ ci progetta’. E noi, ovviamente glielo lasciamo fare, assorbendo (e in che misura è impossibil­e dirlo) modelli stereotipa­ti perché come dice l’autrice ‘(..) un cibo standardiz­zato, sempre uguale a se stesso, non avrà bisogno di una società standardiz­zata? ‘ In sostanza se il rapporto tra il dipendente di una famosa catena di supermerca­ti e sua moglie ci sembra demenziale e patologico tanto a doverla svegliare la notte, forse è perché lo è.

LA PUBBLICITÀ CI DESCRIVE MA UN ANCHE UN PO’ CI PROGETTA

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