Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
COSÌ TARANTO RITROVA SE STESSA
Sulla città l’effetto Medimex
Un altro respiro, un nuovo orgoglio. Nei giorni del Medimex, il sofisticato circo della musica varato a Bari e poi traghettato per quest’anno (e il prossimo) nella città dei due mari, Taranto è sembrata migliore. Più viva, più aperta, più amabile. In realtà, è solo tornata ad essere se stessa. A riscoprirsi per ciò che è sempre stata, un microcosmo denso di fermenti umani e culturali, una riproduzione in sedicesimi delle stagioni – tutti gli anni Ottanta fino ai preamboli di Giancarlo Cito – in cui ai concerti delle band di maggior fama internazionale alternava le più importanti rassegne estive di teatro italiano o mandava in giro per il mondo le meraviglie del suo museo (l’attuale MarTa). Erano i tempi d’oro (e dell’oro che iniziava a distribuire l’ex Italsider con il raddoppio del Siderurgico), della provincia con il Pil più alto del sud Italia, della mescolanza di energie che erudiva gli operai e votava gli intellettuali alla concretezza. Tempi che si sono esauriti tra i limiti di una classe dirigente viziata, ladrona, e l’arroganza della famiglia Riva che in nome del profitto ha consegnato prematuramente agli obitori centinaia di tarantini.
Devitalizzata come un dente marcio, saccheggiata da amministratori peggiori della peste, lacerata dai massacranti conflitti innescati dall’esplosione dell’inchiesta sull’Ilva, la città si è sentita talmente sconfitta da aver smarrito la sua identità. Ezio Stefàno, l’ex sindaco, è riuscito almeno a restituirle una politica onesta, di servizio, benché priva di visione. Rinaldo Melucci, il sindaco di oggi, nell’instancabile ricerca di un nemico (il governatore pugliese, per esempio) e nella sua attitudine divisiva, non trasmette per ora il necessario spirito di squadra. È stato invece Michele Emiliano, con il “solo” regalo del Medimex confezionato assieme all’assessora Loredana Capone, a rigenerare impulsi all’apparenza in cancrena ed a riportare tratti di ottimismo sul volto di una Taranto stufa di arrotolarsi sui contrasti dell’ultimo ventennio. Partecipazione massiccia. Coinvolgimento totale, numeri e incassi da capogiro. Voglia di esserci, di riprendere il cammino interrotto. È l’effetto che fa una manifestazione capace di raccontare una città diversa dalla recente, agghiacciante e persino un po’ stucchevole narrazione. È un prototipo distintivo che imbocca una strada diversa, ma non contraria, alla monocultura dell’acciaio e alla consequenziale sottocultura dello scontro. Iniziando a percorrerla anche senza stampelle, ricca di bellezza e storia com’è, Taranto ha nella manica un asso per rialzare la testa.