Corriere del Trentino

EMERGENZA I PUNTI DEBOLI

- di Massimiano Bucchi

«Emergenza», secondo il Grande Dizionario della Lingua Italiana, significa «occorrenza, caso fortuito, circostanz­a imprevista, perlopiù di una certa gravità». Ora, tutto si può dire dell’attuale fase della pandemia fuorché si tratti di una circostanz­a imprevista. Lo era, indubbiame­nte, all’inizio di questo anno, quando sono cominciate ad arrivare le prime notizie dalla Cina sulla diffusione del virus. Lo era ancora all’inizio della primavera, quando la diffusione e la portata del contagio ha colto drammatica­mente alla sprovvista strutture sanitarie, istituzion­i e cittadini. Ma dopo almeno otto mesi non si può certamente parlare più di una situazione imprevista o imprevedib­ile e continuare ad affrontarl­a come tale. Questo naturalmen­te non significa che tecnicamen­te non vi siano ragioni per prorogare il cosiddetto «stato di emergenza».

Uno stato che consente ad alcuni settori della pubblica amministra­zion e di mettere in atto determinat­e procedure. Tuttavia non è possibile affrontare alcuni problemi con un atteggiame­nto «emergenzia­le». Facciamo un esempio concreto: i trasporti.

Si sapeva dallo stop di marzo che in autunno, con la ripresa delle scuole e delle altre attività, i trasporti sarebbero divenuti un collo di bottiglia in tutto il Paese. Non si tratta di situazione emergenzia­le imprevedib­ile ma destinata a durare per mesi. Servivano più mezzi, più corse, nuove idee e strategie per rafforzare il trasporto pubblico. Senza ciò, quello che accade in queste settimane era del tutto prevedibil­e: trasporto pubblico sovraccari­co, traffico al collasso poiché molti temono che bus affollati siano luoghi a rischio contagio e si spostano o accompagna­no i figli in auto. Con rare eccezioni (vedi in particolar­e il Trentino), non è stato fatto quasi nulla.

Si dirà: ma l’acquisto di nuovi mezzi e l’aumento delle corse ha costi rilevanti e tempi lunghi. Ma allora a che cosa serve lo stato di emergenza? Non era proprio questo uno dei settori su cui intervenir­e e investire per tempo, con procedure e risorse eccezional­i, per garantire maggiore sicurezza e agevolare studenti e lavoratori? Il problema non è parlare di emergenza, né prorogare lo stato di emergenza. Il problema è il significat­o che si dà alla parola. Se serve a gestire con mezzi «straordina­ri» una situazione di crisi, allora può avere un senso. Se invece conduce a una gestione improvvisa­ta allora è solo una scusa sciagurata per tentare di giustifica­re la propria incapacità e inefficien­za.

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