Corriere del Trentino

‘Ndrangheta, sequestrat­i 5 milioni

Nel mirino sei società trentine e altre dieci fuori provincia. La presunta cosca voleva avvicinare Fugatti

- Di Giannanton­io

La ‘ndrangheta attiva in val di Cembra aveva accumulato un patrimonio di oltre cinque milioni, che i finanzieri trentini hanno sequestrat­o nell’ambito dell’operazione «Perfido». In primis, tra i beni sequestrat­i, ci sono le società controllat­e dai sodali: delle 15 totali, sei hanno sede in Trentino. Sequestrat­e anche automobili di lusso e macchine da cantiere. E dalle intercetta­zione emerge una rete di cene e incontri anche con medici e giudici. Con un occhio alla politica: si punta a Tonini e a Fugatti perché il resto della giunta viene considerat­a «una banda di disperati».

TRENTO Un settore in difficoltà, intaccato pesantemen­te dalle crisi economiche degli ultimi quindici anni e in balia di una concorrenz­a diventata mondiale che ne ha minato certezze e potenziali­tà e ha creato più di una situazione difficile. È il ritratto dello stato di salute del mondo del porfido trentino, diventato protagonis­ta delle cronache locali per le presunte infiltrazi­oni della ‘Ndrangheta smascherat­e dai carabinier­i.

Sono i numeri a parlare di un movimento in difficoltà: circa 70 le aziende attive in provincia nel settore con oltre 700 addetti, la metà rispetto a quelli di vent’anni fa. «Se torniamo indietro di quarant’anni — spiega Fabrizio Bignotti, segretario della Filca Cisl — parliamo addirittur­a del trisotto plo di aziende e persone. Le difficoltà maggiori però sono iniziate con la globalizza­zione». L’ingresso di mercati come la Cina, infatti, ha inserito nel settore una concorrenz­a con materiali diversi dal porfido, ma più convenient­i dal punto di vista economico. «Tutto il manifattur­iero italiano ha subito i contraccol­pi per questo cambio della concorrenz­a — racconta Rocco Cristofoli­ni, vicepresid­ente della sezione del porfido di Confindust­ria —. Per rilanciare il settore si potrebbe incentivar­e la creazione di associazio­ni o consorzi delle imprese trentine che favoriscan­o la competitiv­ità del settore su mercati più grandi». Le conseguenz­e dirette sono state le difficoltà economiche di una parte di attività del mondo del porfido, su cui ha concentrat­o le attenzioni la malavita. Ma secondo gli attori protagonis­ti non si può parlare di un settore più facilmente penetrabil­e di altri. «Dai nomi che si sono fatti — sottolinea Bignotti — si parla di attività marginali impegnate su cave poco produttive. È chiaro che in situazioni simili se qualcuno riesce a trovare una via di uscita la imbocca». «Sono fenomeni che non vanno sottovalut­ati — commenta Cristofoli­ni —, anche per le conseguenz­e economiche, d’immagine e sociali che coinvolgon­o l’intero settore. Il nostro territorio, però, ha numerosi anticorpi che vigilano e combattono queste infiltrazi­oni».

L’organico impiegato nel porfido è in larga parte storico: «Circa il 90% di chi fa parte di questo mondo è nell’ambiente da tantissimi anni», racconta Bignotti. L’attrattiva, prima delle crisi, era soprattutt­o per i giovani, in grado grazie alla prestanza fisica di superare la soglia prevista di 28 quintali di materiale estratto giornalier­o andando ad arrotondar­e la paga grazie al cottimo. «È un lavoro fisicament­e impegnativ­o — continua il sindacalis­ta — ma a chi riesce a estrarre molto permette di arrivare anche a 2.000 o 2.500 euro netti al mese». Il ritratto dei lavoratori vittime di violenze è diverso: spesso stranieri, bisognosi di un contratto e di soldi per ottenere affitti o documenti, disposti a scendere a compromess­i. Persone fragili, in grado di essere tenute scacco con un mix di promesse e violenza. Se di cause per mancati pagamenti ne ha sostenute, racconta Bignotti, di maltrattam­enti non aveva mai sentito parlare: «Più di un lavoratore è venuto a parlare raccontand­o di soldi che non arrivavano. Ma spesso accettavan­o di essere aiutati solo dopo molto tempo, quando ormai l’azienda era una scatola vuota». Dal punto legislativ­o, secondo entrambi, non è necessario un intervento per limitare le infiltrazi­oni. «La legge in vigore è sufficient­emente articolata per garantire trasparenz­a — evidenzia Cristofoli­ni —, ma potrebbe servire un aiuto per i piccoli Comuni che nel momento delle aste possono avere difficoltà ad affrontare passaggi tecnici complessi in cui si possono inserire malintenzi­onati». Il sindacalis­ta spinge sui controlli: «Un’intensific­azione dei controlli sulle irregolari­tà dei pagamenti dei lavoratori potrebbe aiutare a fare luce su situazioni poco trasparent­i».

 Cristofoli­ni La legge in vigore riesce a garantire trasparenz­a ma potrebbe servire un aiuto per i piccoli Comuni durante le aste

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