Dal lockdown al nuovo menu
Il ristorante di tre fratelli in città: «Era il nostro sogno, sempre aperti»
Hanno dovuto chiudere il loro ristorante diciotto giorni dopo l’inaugurazione. Ma i tre fratelli Augurio non si sono persi d’animo. E dopo il lockdown sono tornati a proporre le loro ricette nel locale aperto sette giorni su sette, a pranzo e a cena. «Era il nostro sogno» raccontano Luca, Mattia e Samuele.
TRENTO Nemmeno tre settimane. Dall’inaugurazione alla chiusura in diciotto giorni. Una parabola fulminea e devastante, che avrebbe potuto piegare chiunque. Ma si sa, per le grandi imprese servono coraggio, fatica e impegno: qualità che in casa Augurio, a quanto pare, non mancano. Un cognome che è un auspicio, ma anche il nome di un ristorante, quello ricavato dalla fantasia e dalla determinazione di tre fratelli nati e cresciuti a Mattarello, che ha riaperto in via Dietro le mura B dopo due mesi e mezzo di lockdown. «E pensare che l’inizio era stato sorprendente, ero costretto a rifiutare almeno una ventina di persone ogni sera nel fine settimana — dice Luca, 34 anni, maître di sala — ora riempiamo il locale per tre quarti. Navighiamo a vista, nella nebbia».
L’allegoria ben si presta a delineare i contorni entro i quali si muovono i giovani imprenditori: «Per il momento la mole di lavoro si è ridotta del 50% rispetto ai giorni dell’apertura, ma visto il periodo siamo contenti — ammette Luca, il maggiore — quando è arrivato il lockdown i nostri collaboratori erano ancora tutti in prova: fossero già stati nostri dipendenti, non credo avremmo mai riaperto». Dopo aver preso la decisione della vita, aver investito 300mila euro, dedicato tutte le energie di un anno e mezzo alla creazione di un locale da zero, lasciando il proprio lavoro, scontrandosi con gli imprevisti, la burocrazia e pure una pandemia. Aprire un ristorante, però, era il sogno di una vita. «Da piccolo sentivo spesso papà ripetere “Quando avremo il nostro ristorante” — ricorda lo chef Mattia, 31 anni, formatosi tra la scuola alberghiera a Levico e Ossana e le cucine di importanti locali dell’Isola d’Elba, a Cervinia e in Sardegna — ma era un pensiero quasi impossibile da formulare, non lo immaginavamo nemmeno». E invece. La passione per la cucina nasce in famiglia, nel compenetrarsi di sapori trentini e partenopei: «Nostro padre faceva il cuoco nell’esercito, mamma era sempre ai fornelli — racconta Samuele, 23 anni, secondo chef, anche lui diplomatosi alla scuola alberghiera, la prima stagione a quindici anni e mezzo prima di affinare la preparazione alla locanda Margon con Alfio Ghezzi — così vedendo loro sempre con le mani in pasta è stato quasi naturale intraprendere questo percorso». Luca invece ha deciso di laurearsi in storia. Ma si è fatto le ossa tra il ristorante Chiesa e Livio catering, diventando anche sommelier.
«Per fortuna siamo in tre —
Mattia Ci siamo divisi i ruoli, le decisioni, il confronto. Altrimenti non ce l’avremmo mai fatta
riconosce Mattia — siamo riusciti a dividerci i ruoli, le decisioni, il confronto. Diversamente non ce l’avremmo mai fatta». Quei 220 metri quadrati affacciati su piazza Venezia, articolati su due piani, li hanno fatti innamorare all’istante. Ma erano inutilizzati da cinquant’anni. «Uno spazio al grezzo» rammentano. Tutto da inventare. E restaurare. «Un’altra difficoltà è stata la burocrazia — evidenzia Luca — volevamo aprire nel settembre scorso ma lungaggini e rinvii hanno fatto slittare tutto». Tra la cucina a vista — con una micro serra intelligente che permette di coltivare germogli, erbe e verdure — e la cantina da 130 etichette, i tre fratelli raccontano in una nuova veste i prodotti e gli ingredienti del Trentino. Sette giorni su sette, a pranzo e a cena: «È impegnativo ma non possiamo permetterci di fare diversamente. Teniamo duro, noi non molliamo».