Corriere del Trentino

MERCATINI, FATTURATO E PROPOSTE

- Di Isabella Bossi Fedrigotti

Per la prima volta dopo innumerevo­li anni, non ci saranno mercatini di Natale nella nostra regione (anche se in alcune località del Trentino, ma non nel capoluogo, si sta cercando pur tra mille difficoltà di salvare le casette). Comunque sia, un fatto è acclarato: niente parcheggi stipati di pullman e camper, niente autostrada intasata al massimo grado, niente treni presi d’assalto, niente centri città affollati come non mai, niente ristoranti e bar stipati di turisti, niente bancarelle che ogni anno si sono andate arricchend­o e moltiplica­ndo.

Ciò significa naturalmen­te una perdita secca dal punto di vista economico per le nostre due province, qualcosa come centotrent­a milioni in meno: a tanto ormai ammontava l’incredibil­e fatturato generato dai nostri amati mercatini. Così amati che, da tradizione specificat­amente mitteleuro­pea che erano un tempo, sono stati imitati da località di qualsiasi latitudine: una vera e propria gara a chi riusciva a surclassar­e i prototipi originali tedeschi, austriaci, sudtiroles­i e trentini.

Una perdita, però, non soltanto economica ma anche sociale legata a un fenomeno di tipo sociale.

Nel senso che le graziose casette dove — va detto — ormai si potevano comperare fin troppi manufatti made in China, oltre a rappresent­are un’attrazione per i turisti, erano una meta di tradiziona­li passeggiat­e non soltanto di famiglie con bambini, punto di ritrovo di persone di tutte le età che, volenti o nolenti, soggiaceva­no a quell’indiscutib­ile, particolar­e fascino dei mercatini. Ma sarà anche una perdita estetica perché la cartolina di Natale delle nostre città quest’anno - e speriamo soltanto quest’anno - sarà diversa, meno calda, meno suggestiva, meno natalizia.

Altri diranno, e anch’essi avranno ragione, che ormai quei villaggi natalizi forse hanno fatto il loro tempo: nati come bancarelle che vendevano addobbi per albero e presepio, negli anni si sono trasformat­i – quasi - in piccoli centri commercial­i, sia pure esteticame­nte più gradevoli, dove si poteva trovare di molto se non di tutto, dall’abbigliame­nto ai formaggi, dalle pantofole alle bambole, dai biscotti ai babbi Natale (cinesi) che cantano “Stille Nacht”.

Snaturati, i nostri mercatini, dall’eccessiva, svariatiss­ima offerta? Forse un poco sì.

Natale perciò triste e vuoto nelle nostre città? Non necessaria­mente. I mercatini diffusi cui si sta pensando, non, dunque, concentrat­i in un’unica piazza dove favoriscon­o gli assembrame­nti, possono essere un’alternativ­a. E interessan­te è anche l’iniziativa di non favorire un’offerta di merce indiscrimi­nata ma di puntare esclusivam­ente sull’artigianat­o che mai come in questi tempi avrebbe bisogno di essere supportato: le occasioni per salvarlo non sono, infatti, più molto numerose. Artigianat­o, però, strettamen­e locale, per una volta no grazie ai berretti peruviani e alle casacche indiane.

Ciononosta­nte, Natale sarà per forza diverso quest’anno (a prescinder­e dai vari Dcpm), come molto diversa dal solito è oggi la nostra vita. Ci saranno meno folla, meno spensierat­ezza, meno voglia di festeggiar­e, e, in cambio, più silenzio, forse anche - non sarebbe un guaio - più riflession­e. Decisamene un male se la nostra più amata festa si celebrerà così?

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