MERCATINI, FATTURATO E PROPOSTE
Per la prima volta dopo innumerevoli anni, non ci saranno mercatini di Natale nella nostra regione (anche se in alcune località del Trentino, ma non nel capoluogo, si sta cercando pur tra mille difficoltà di salvare le casette). Comunque sia, un fatto è acclarato: niente parcheggi stipati di pullman e camper, niente autostrada intasata al massimo grado, niente treni presi d’assalto, niente centri città affollati come non mai, niente ristoranti e bar stipati di turisti, niente bancarelle che ogni anno si sono andate arricchendo e moltiplicando.
Ciò significa naturalmente una perdita secca dal punto di vista economico per le nostre due province, qualcosa come centotrenta milioni in meno: a tanto ormai ammontava l’incredibile fatturato generato dai nostri amati mercatini. Così amati che, da tradizione specificatamente mitteleuropea che erano un tempo, sono stati imitati da località di qualsiasi latitudine: una vera e propria gara a chi riusciva a surclassare i prototipi originali tedeschi, austriaci, sudtirolesi e trentini.
Una perdita, però, non soltanto economica ma anche sociale legata a un fenomeno di tipo sociale.
Nel senso che le graziose casette dove — va detto — ormai si potevano comperare fin troppi manufatti made in China, oltre a rappresentare un’attrazione per i turisti, erano una meta di tradizionali passeggiate non soltanto di famiglie con bambini, punto di ritrovo di persone di tutte le età che, volenti o nolenti, soggiacevano a quell’indiscutibile, particolare fascino dei mercatini. Ma sarà anche una perdita estetica perché la cartolina di Natale delle nostre città quest’anno - e speriamo soltanto quest’anno - sarà diversa, meno calda, meno suggestiva, meno natalizia.
Altri diranno, e anch’essi avranno ragione, che ormai quei villaggi natalizi forse hanno fatto il loro tempo: nati come bancarelle che vendevano addobbi per albero e presepio, negli anni si sono trasformati – quasi - in piccoli centri commerciali, sia pure esteticamente più gradevoli, dove si poteva trovare di molto se non di tutto, dall’abbigliamento ai formaggi, dalle pantofole alle bambole, dai biscotti ai babbi Natale (cinesi) che cantano “Stille Nacht”.
Snaturati, i nostri mercatini, dall’eccessiva, svariatissima offerta? Forse un poco sì.
Natale perciò triste e vuoto nelle nostre città? Non necessariamente. I mercatini diffusi cui si sta pensando, non, dunque, concentrati in un’unica piazza dove favoriscono gli assembramenti, possono essere un’alternativa. E interessante è anche l’iniziativa di non favorire un’offerta di merce indiscriminata ma di puntare esclusivamente sull’artigianato che mai come in questi tempi avrebbe bisogno di essere supportato: le occasioni per salvarlo non sono, infatti, più molto numerose. Artigianato, però, strettamene locale, per una volta no grazie ai berretti peruviani e alle casacche indiane.
Ciononostante, Natale sarà per forza diverso quest’anno (a prescindere dai vari Dcpm), come molto diversa dal solito è oggi la nostra vita. Ci saranno meno folla, meno spensieratezza, meno voglia di festeggiare, e, in cambio, più silenzio, forse anche - non sarebbe un guaio - più riflessione. Decisamene un male se la nostra più amata festa si celebrerà così?