UN’IPOTESI POSSIBILE DI FUTURO
Il Covid-19 ha spinto il telelavoro in modo massiccio e repentino in tutti i Paesi sviluppati. Come è inevitabile quando ci si muove sull’onda dell’emergenza, l’innovazione è stata adottata senza riflettere bene su pro e contro, visto che il vantaggio di arginare la diffusione del virus faceva e fa premio su qualsiasi altra considerazione. Dopo i primi mesi di esperienza, i decisori e le persone coinvolte più o meno direttamente hanno tratto un bilancio generalmente viziato da un’unica prospettiva o, al massimo, tenendo conto solo di pochi fattori. In realtà, quella in corso è un’autentica rivoluzione che ha effetti economici, sociali e ambientali di grande impatto. L’Ocse ha deciso meritoriamente di indagare la nuova frontiera e Mattia Corbetta, policy analyst in forza alla sede di Trento, ha anticipato una serie di spunti durante un webinar organizzato dall’Inps regionale con l’intervento della vicepresidente nazionale Luisa Gnecchi. Impossibile sintetizzare qui l’intera gamma di minacce e opportunità offerte dal telelavoro, dunque ci limitiamo a indicarne alcune (non necessariamente le più significative) a titolo esemplificativo. Sul piano individuale, stare a casa può garantire più tempo per la cura dei figli (con il pericolo che ciò ricada soprattutto sulle donne) e consentire di utilizzare in modo migliore le ore altrimenti spese per andare in ufficio, tuttavia ci può essere una crescita della violenza domestica.
Afronte dei risparmi per il trasporto e i pasti, poi, ci sono costi extra per l’elettricità, gli strumenti digitali e altro. Venendo al piano professionale, la maggiore fiducia che si crea tra datore e lavoratore è controbilanciata da minore visibilità (con effetto su promozioni e aumenti), da ridotte opportunità di formazione e di scambi con i colleghi. Nell’ottica dell’impresa o della pubblica amministrazione, invece, ci possono essere riflessi sulla produttività (in un senso o nell’altro in base al modello scelto), oneri inferiori per i luoghi di lavoro ma superiori per l’infrastruttura e gli strumenti digitali, nonché un vulnus al senso di appartenenza all’organizzazione. In ogni modo, dimensioni aziendali, tipologia di attività e situazione infrastrutturale incidono sui due piatti della bilancia. Per i territori il giudizio è ancora più complesso: le città da un lato vedono limitarsi sia la pressione su traffico e trasporto pubblico, sia il costo degli affitti, dall’altro registrano un calo della domanda di servizi (pubblici e privati) e una svalutazione immobiliare; le aree rurali, peraltro, avrebbero opportunità di lavoro e afflusso di capitale umano, ma patirebbero l’aumento del prezzo degli immobili e l’eventualità dell’esclusione della popolazione locale dal telelavoro. Per finire, un peso potrebbe ricadere anche sulla sanità a causa dell’incremento della sedentarietà.
Da questo sommario elenco si capisce come sia necessario un approccio razionale e olistico al telelavoro, evitando adesioni entusiastiche o drastiche demonizzazioni. Un giusto mix a ogni livello potrebbe portare a riequilibrare alcuni eccessi che, per ricordare un vecchio slogan pubblicitario, hanno elevato il «logorio della vita moderna». Le città potrebbero essere meno assediate e le valli meno spopolate, senza per forza snaturare le une e le altre. Se l’autonomia significa autogoverno e innovazione, qui ci sono tutti gli strumenti per essere davvero «laboratorio» come spesso si ama decantare. Dalle università agli assessorati e all’Agenzia del lavoro di Trento, non mancano certo le competenze per effettuare analisi e condurre sperimentazioni significative. Vale la pena pensarci.