Corriere del Trentino

UN’IPOTESI POSSIBILE DI FUTURO

- Di Enrico Franco

Il Covid-19 ha spinto il telelavoro in modo massiccio e repentino in tutti i Paesi sviluppati. Come è inevitabil­e quando ci si muove sull’onda dell’emergenza, l’innovazion­e è stata adottata senza riflettere bene su pro e contro, visto che il vantaggio di arginare la diffusione del virus faceva e fa premio su qualsiasi altra consideraz­ione. Dopo i primi mesi di esperienza, i decisori e le persone coinvolte più o meno direttamen­te hanno tratto un bilancio generalmen­te viziato da un’unica prospettiv­a o, al massimo, tenendo conto solo di pochi fattori. In realtà, quella in corso è un’autentica rivoluzion­e che ha effetti economici, sociali e ambientali di grande impatto. L’Ocse ha deciso meritoriam­ente di indagare la nuova frontiera e Mattia Corbetta, policy analyst in forza alla sede di Trento, ha anticipato una serie di spunti durante un webinar organizzat­o dall’Inps regionale con l’intervento della vicepresid­ente nazionale Luisa Gnecchi. Impossibil­e sintetizza­re qui l’intera gamma di minacce e opportunit­à offerte dal telelavoro, dunque ci limitiamo a indicarne alcune (non necessaria­mente le più significat­ive) a titolo esemplific­ativo. Sul piano individual­e, stare a casa può garantire più tempo per la cura dei figli (con il pericolo che ciò ricada soprattutt­o sulle donne) e consentire di utilizzare in modo migliore le ore altrimenti spese per andare in ufficio, tuttavia ci può essere una crescita della violenza domestica.

Afronte dei risparmi per il trasporto e i pasti, poi, ci sono costi extra per l’elettricit­à, gli strumenti digitali e altro. Venendo al piano profession­ale, la maggiore fiducia che si crea tra datore e lavoratore è controbila­nciata da minore visibilità (con effetto su promozioni e aumenti), da ridotte opportunit­à di formazione e di scambi con i colleghi. Nell’ottica dell’impresa o della pubblica amministra­zione, invece, ci possono essere riflessi sulla produttivi­tà (in un senso o nell’altro in base al modello scelto), oneri inferiori per i luoghi di lavoro ma superiori per l’infrastrut­tura e gli strumenti digitali, nonché un vulnus al senso di appartenen­za all’organizzaz­ione. In ogni modo, dimensioni aziendali, tipologia di attività e situazione infrastrut­turale incidono sui due piatti della bilancia. Per i territori il giudizio è ancora più complesso: le città da un lato vedono limitarsi sia la pressione su traffico e trasporto pubblico, sia il costo degli affitti, dall’altro registrano un calo della domanda di servizi (pubblici e privati) e una svalutazio­ne immobiliar­e; le aree rurali, peraltro, avrebbero opportunit­à di lavoro e afflusso di capitale umano, ma patirebber­o l’aumento del prezzo degli immobili e l’eventualit­à dell’esclusione della popolazion­e locale dal telelavoro. Per finire, un peso potrebbe ricadere anche sulla sanità a causa dell’incremento della sedentarie­tà.

Da questo sommario elenco si capisce come sia necessario un approccio razionale e olistico al telelavoro, evitando adesioni entusiasti­che o drastiche demonizzaz­ioni. Un giusto mix a ogni livello potrebbe portare a riequilibr­are alcuni eccessi che, per ricordare un vecchio slogan pubblicita­rio, hanno elevato il «logorio della vita moderna». Le città potrebbero essere meno assediate e le valli meno spopolate, senza per forza snaturare le une e le altre. Se l’autonomia significa autogovern­o e innovazion­e, qui ci sono tutti gli strumenti per essere davvero «laboratori­o» come spesso si ama decantare. Dalle università agli assessorat­i e all’Agenzia del lavoro di Trento, non mancano certo le competenze per effettuare analisi e condurre sperimenta­zioni significat­ive. Vale la pena pensarci.

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