«Io, disabile, discriminata dall’ateneo di Trento»
La storia di Albertina Pretto: «Mai ricevuto dispositivi o ausili per la mia disabilità»
La scansione degli
TRENTO eventi è sterile e non rende l’idea. Nel 2014 vince un concorso a Sociologia, poi la posizione scade e viene nuovamente bandita. Partecipa, viene esclusa e non ne capisce il perché. Impugna la decisione. E il Tar di Trento, lo scorso luglio, le ha dato ragione: quel concorso era illegittimo. Una vittoria di Pirro, amarissima, per chi come Albertina Pretto da più di dieci anni insegna e fa ricerca a Sociologia e, d’un tratto, si trova senza lavoro. Il senso della storia, infatti, risiede al di là della mera scansione degli eventi. Disabile, ferita dalla mancanza di solidarietà dei colleghi malgrado quello, paradossalmente, sia un dipartimento che studia come ridurre gli steccati d’ogni tipo. Oggi Pretto attende con mestizia l’applicazione della sentenza e la liquidazione delle spese legali. Un’attesa che rende ancora più esplicita l’indifferenza di un’istituzione. «Ora — dice Pretto — voglio spendermi affinché quello che è successo a me non accada mai più».
Professoressa, partiamo dal 17 luglio, ovvero quando il Tar ha accolto il suo ricorso, ritenendo illegittima la selezione per la chiamata di un ricercatore a tempo determinato di tipo B in Sociologia generale. Quel posto, che lei già occupava dal 2014, per i giudici amministrativi è stato assegnato in modo incongruo. La vincitrice, per i giudici, «doveva essere esclusa dalla procedura o, quantomeno, essere oggetto di una valutazione meno benevola». Cosa l’ha ferita maggiormente nel dover abbandonare il suo posto di lavoro dopo anni sapendo di avere i titoli per poter continuare a fare il suo lavoro?
«L’ingiustizia. Ho dedicato anni alla ricerca e alla didattica rinunciando anche alla mia vita personale perché amavo il mio lavoro. La cosa che mi ha ferita di più è stato il pensiero che non avrei più potuto svolgerlo: per una persona con una disabilità visiva, non è facile andare a lavorare in un’altra città spostandosi da sola e a Trento c’è una sola università. Quindi, già quando ho perso il concorso, il mio primo pensiero è stato che la mia carriera accademica non solo era finita, ma era finita ingiustamente».
Quando ha vinto il primo concorso nel 2014 ha subito menzionato la sua disabilità. Le sono mai stati dati degli strumenti per lavorare?
«No, mai. In Dipartimento non mi hanno dato nemmeno una lampada per vederci un po’ meglio quando l’ho chiesta e le poche altre richieste che ho fatto in altri uffici sono state ignorate o rifiutate».
Una diffida prima, una notifica della sentenza poco dopo. Il dilatarsi dei tempi per la pubblica amministrazione dai gangli arrugginiti è spesso la prassi, ma nel mezzo ci sono esistenze. Questa indifferenza l’ha colpita? Se l’aspettava?
«Certamente non me l’aspettavo. Posso comprendere le tempistiche burocratiche che probabilmente saranno anche più lunghe del solito date le misure imposte dalla pandemia, ma sarebbe bastata una comunicazione anche informale. Invece niente: hanno trattato la cosa come se non fosse rilevante, come se la mia vita per loro non contasse niente. Mi spiace doverlo dire, ma mi hanno davvero buttata via come una scarpa vecchia dopo anni di servizio attento e scrupoloso».
La sentenza, come detto, è dello scorso luglio e malgrado sia disposto il pagamento delle spese (circa 3.200 euro) la somma ancora non le è stata liquidata. Un ulteriore affronto per chi resta senza un’occupazione. Ha mai ricevuto anche informalmente degli attestati di solidarietà o anche solo la promessa di dare seguito alla sentenza?
«Non ho mai ricevuto nessuna comunicazione, né dall’amministrazione, né dal Dipartimento. Come ho detto prima, mi hanno messa in mezzo alla strada e poi sono scomparsi, forse speravano che scomparissi anch’io. Le uniche manifestazioni di solidarietà che ho avuto, mi sono giunte in modo informale da pochi colleghi, anche di altri Dipartimenti, ai quali sono grata per il supporto morale e la stima che mi hanno dimostrato».
L’ateneo di Trento stila un piano triennale di azioni positive per favorire l’equità e la valorizzazione di tutte le diversità. Lei stessa ha contribuito alla redazione del capitolo dedicato alla disabilità. Ma nella pratica ha trovato il rispetto di questi principi? Si è sentita discriminata?
«In quel piano sono state messe sulla carta tante cose ma, almeno per quanto mi riguarda, non ne è stata applicata nessuna. Lei mi chiede se mi sono sentita discriminata e io le posso solo dire di sì: non solo mi sono stati negati gli accomodamenti ragionevoli di cui avevo diritto ma sono anche stata oggetto di comportamenti davvero poco inclusivi. L’Ateneo in questi anni ha rivolto le sue attenzioni verso gli studenti con disabilità ma per una ricercatrice disabile non c’è stata la benché minima attenzione».
La pandemia non facilita la ricerca di un lavoro. In questi mesi lei però non è mai stata ferma. Cosa sta facendo oggi e cosa si augura di fare domani?
«Ho appena pubblicato due articoli su due importanti riviste internazionali e sto organizzando una conferenza con un network di ricerca straniero. Inoltre ho organizzato seminari formativi per insegnanti con una associazione locale. Chiaramente non sono attività retribuite ma non sarei mai capace di stare a casa con le mani in mano. Riguardo al mio futuro davvero non saprei ma in ogni caso voglio spendermi affinché quello che è successo a me non accada a nessun altro».