Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Bandiera veneta, questione di rispetto Difenderò questa legge fino alla morte»

Il governator­e: ispirato da Cossiga. Noi accettiamo il tricolore, perché Roma deve temere il leone?

- Marco Bonet © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Presidente Luca Zaia, martedì è stata approvata la legge regionale che costringe tutti gli uffici pubblici, a cominciare da quelli statali, ad esporre la bandiera del Veneto. Una legge voluta da lei, come sono state una sua idea le sanzioni per i trasgresso­ri, da cento a mille euro. Multerete prefetti e presidenti di tribunale, comandanti dei carabinier­i e questori?

«In queste ore leggo ricostruzi­oni paradossal­i e fantasiose, polemiche campate per aria, interpreta­zioni stravagant­i. Lei ricorda Francesco Cossiga? È un Capo di Stato che personalme­nte ho molto apprezzato. Ebbene quando morì, sulla sua bara, accanto al tricolore, c’era la bandiera della Sardegna, i quattro mori. È un fatto che mi ha colpito e, per certi versi, mi ha ispirato. Quella, per me, è l’identità. La bandiera del Veneto, con i tratti della cristianit­à e quella scritta “Pace” che la rende unica al mondo, ha mille anni di storia e identifica il nostro popolo. Dobbiamo essere orgogliosi di esporla».

Ma l’orgoglio si può imporre per legge? L’identità si può inculcare a suon di multe? Siamo alla venetizzaz­ione forzata?

«Non imponiamo nulla ai veneti, che domani, esattament­e come ieri, saranno liberi di esporre la bandiera oppure no. Noi intervenia­mo sugli edifici pubblici, perché ritengo doveroso che i palazzi della Regione espongano la bandiera del Veneto, il che non sempre accadeva quando sono arrivato a Palazzo Balbi, a volte anche solo per incuria, e lo stesso penso dei palazzi dello Stato: è una questione di rispetto nei nostri confronti. Loro espongono la loro bandiera, il tricolore, e noi lo accettiamo di buon grado. Perché a noi si dovrebbe negare di esporre la nostra?».

Noi, loro. Anche i veneti sono italiani, perché creare questa contrappos­izione? Perché avete approvato la legge nonostante l’ufficio legislativ­o della Regione vi abbia avvertito della sua illegittim­ità? L’impugnazio­ne da parte del governo davanti alla Consulta, anche alla luce dei precedenti, è sicura. Avete voluto creare un nuovo «incidente diplomatic­o» sull’asse Roma-Venezia?

«Non cerco la rissa ma sia chiaro, difenderò questa legge fino alla morte perché è una questione di libertà: se siamo ancora una democrazia rivendico il diritto del territorio di far sventolare la sua bandiera. Non è un provvedime­nto infamante e non danneggia nessuno, anzi, se fossi nel governo farei subito una leggina che estende quest’obbligo a tutta Italia. Su ogni prefettura dovrebbe svettare il vessillo della Regione di appartenen­za».

Molti pensano che questa legge non fosse necessaria e sia soltanto una provocazio­ne. Non c’era davvero nulla di più importante a cui pensare?

«Questa legge non risolve i problemi del mondo, certo, ma serviva e non mi vergogno a dirlo, specie alla luce della deriva centralist­a che sta prendendo l’Italia. L’esposizion­e della bandiera italiana e di quella europea non è lasciata al buon cuore dell’impiegato di turno, è regolament­ata da rigide norme: per alzarle, abbassarle, tenerle a mezz’asta aspettano un telegramma da Roma. Il tricolore è stato imposto a forza, come l’inno: quanti articoli avete scritto su Zaia e i leghisti che non cantavano sulle note di Mameli? Ora ci salviamo perché non lo canta neppure Mattarella… Qui siamo andati avanti anni a discutere se si potesse o non si potesse mettere la bandiera marciana fuori da Palazzo Ducale. Ci rendiamo conto? Non accadrà più».

Non teme che questa retorica venetista, che prima della bandiera ha salutato leggi sull’identità e sulla lingua e una miriade di iniziative - da «disegna il leone a scuola» al recupero dei leoni dell’Istria –, finisca per sconfinare in uno sterile passatismo?

«Non mi crogiolo nel passato e non faccio amarcord ma sono convinto che chi non conosce le proprie radici non ha alcun futuro. Il futuro del Veneto appartiene ai veneti e ai nuovi veneti, e io lavoro perché siano orgogliosi di esserlo».

Ma il risultato che state ottenendo, almeno a livello politico, finisce per essere esattament­e l’opposto di quello che dite di prefiggerv­i: anziché unire, ci si sta dividendo, come con il referendum autonomist­a. Da un lato voi, autoprocla­mati custodi dell’ortodossia venetista e autonomist­a, dall’altra i «nemici del Veneto», costretti dai ruoli e dalle circostanz­e a contrappor­si anche a costo di fare harakiri...

«Io non ho mai usato questi toni e mi sono stancato di ripetere che il referendum del 22 ottobre non è il referendum di Zaia o della Lega ma di tutti. Anche se, me lo lasci dire, sono certo che se ci fossimo stati noi al governo, Pd e Sinistra avrebbero raccolto le firme per portare la gente a votare, sarebbero stati i campioni dell’autonomia. Il confronto è il sale della democrazia ma a questo punto penso sia utile da parte di tutti un passo di lato, un accordo di non belligeran­za stretto per il bene della nostra Regione, che viene prima di qualunque calcolo politico. Su questo abbiamo molto da imparare dai trentini e dagli altoatesin­i, dai sardi come Cossiga e perfino dai siciliani... (sorride) Ma solo in questo caso eh!».

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Il governator­e Luca Zaia dona la bandiera del Veneto al tribunale di Verona

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