Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Bandiera veneta, questione di rispetto Difenderò questa legge fino alla morte»
Il governatore: ispirato da Cossiga. Noi accettiamo il tricolore, perché Roma deve temere il leone?
Presidente Luca Zaia, martedì è stata approvata la legge regionale che costringe tutti gli uffici pubblici, a cominciare da quelli statali, ad esporre la bandiera del Veneto. Una legge voluta da lei, come sono state una sua idea le sanzioni per i trasgressori, da cento a mille euro. Multerete prefetti e presidenti di tribunale, comandanti dei carabinieri e questori?
«In queste ore leggo ricostruzioni paradossali e fantasiose, polemiche campate per aria, interpretazioni stravaganti. Lei ricorda Francesco Cossiga? È un Capo di Stato che personalmente ho molto apprezzato. Ebbene quando morì, sulla sua bara, accanto al tricolore, c’era la bandiera della Sardegna, i quattro mori. È un fatto che mi ha colpito e, per certi versi, mi ha ispirato. Quella, per me, è l’identità. La bandiera del Veneto, con i tratti della cristianità e quella scritta “Pace” che la rende unica al mondo, ha mille anni di storia e identifica il nostro popolo. Dobbiamo essere orgogliosi di esporla».
Ma l’orgoglio si può imporre per legge? L’identità si può inculcare a suon di multe? Siamo alla venetizzazione forzata?
«Non imponiamo nulla ai veneti, che domani, esattamente come ieri, saranno liberi di esporre la bandiera oppure no. Noi interveniamo sugli edifici pubblici, perché ritengo doveroso che i palazzi della Regione espongano la bandiera del Veneto, il che non sempre accadeva quando sono arrivato a Palazzo Balbi, a volte anche solo per incuria, e lo stesso penso dei palazzi dello Stato: è una questione di rispetto nei nostri confronti. Loro espongono la loro bandiera, il tricolore, e noi lo accettiamo di buon grado. Perché a noi si dovrebbe negare di esporre la nostra?».
Noi, loro. Anche i veneti sono italiani, perché creare questa contrapposizione? Perché avete approvato la legge nonostante l’ufficio legislativo della Regione vi abbia avvertito della sua illegittimità? L’impugnazione da parte del governo davanti alla Consulta, anche alla luce dei precedenti, è sicura. Avete voluto creare un nuovo «incidente diplomatico» sull’asse Roma-Venezia?
«Non cerco la rissa ma sia chiaro, difenderò questa legge fino alla morte perché è una questione di libertà: se siamo ancora una democrazia rivendico il diritto del territorio di far sventolare la sua bandiera. Non è un provvedimento infamante e non danneggia nessuno, anzi, se fossi nel governo farei subito una leggina che estende quest’obbligo a tutta Italia. Su ogni prefettura dovrebbe svettare il vessillo della Regione di appartenenza».
Molti pensano che questa legge non fosse necessaria e sia soltanto una provocazione. Non c’era davvero nulla di più importante a cui pensare?
«Questa legge non risolve i problemi del mondo, certo, ma serviva e non mi vergogno a dirlo, specie alla luce della deriva centralista che sta prendendo l’Italia. L’esposizione della bandiera italiana e di quella europea non è lasciata al buon cuore dell’impiegato di turno, è regolamentata da rigide norme: per alzarle, abbassarle, tenerle a mezz’asta aspettano un telegramma da Roma. Il tricolore è stato imposto a forza, come l’inno: quanti articoli avete scritto su Zaia e i leghisti che non cantavano sulle note di Mameli? Ora ci salviamo perché non lo canta neppure Mattarella… Qui siamo andati avanti anni a discutere se si potesse o non si potesse mettere la bandiera marciana fuori da Palazzo Ducale. Ci rendiamo conto? Non accadrà più».
Non teme che questa retorica venetista, che prima della bandiera ha salutato leggi sull’identità e sulla lingua e una miriade di iniziative - da «disegna il leone a scuola» al recupero dei leoni dell’Istria –, finisca per sconfinare in uno sterile passatismo?
«Non mi crogiolo nel passato e non faccio amarcord ma sono convinto che chi non conosce le proprie radici non ha alcun futuro. Il futuro del Veneto appartiene ai veneti e ai nuovi veneti, e io lavoro perché siano orgogliosi di esserlo».
Ma il risultato che state ottenendo, almeno a livello politico, finisce per essere esattamente l’opposto di quello che dite di prefiggervi: anziché unire, ci si sta dividendo, come con il referendum autonomista. Da un lato voi, autoproclamati custodi dell’ortodossia venetista e autonomista, dall’altra i «nemici del Veneto», costretti dai ruoli e dalle circostanze a contrapporsi anche a costo di fare harakiri...
«Io non ho mai usato questi toni e mi sono stancato di ripetere che il referendum del 22 ottobre non è il referendum di Zaia o della Lega ma di tutti. Anche se, me lo lasci dire, sono certo che se ci fossimo stati noi al governo, Pd e Sinistra avrebbero raccolto le firme per portare la gente a votare, sarebbero stati i campioni dell’autonomia. Il confronto è il sale della democrazia ma a questo punto penso sia utile da parte di tutti un passo di lato, un accordo di non belligeranza stretto per il bene della nostra Regione, che viene prima di qualunque calcolo politico. Su questo abbiamo molto da imparare dai trentini e dagli altoatesini, dai sardi come Cossiga e perfino dai siciliani... (sorride) Ma solo in questo caso eh!».