Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

I contatti con Meriem, le nozze con Abu Hamza «Jihadista? Nessuna prova»

- Andrea Priante

VENEZIA È il 27 gennaio 2016 quando i carabinier­i del Ros di Padova puntano i riflettori sulle sorti di Sonia. Quel giorno l’altra foreign fighter partita dalla nostra regione, la padovana Meriem Rehialy, telefona a suo padre. Lui le chiede se ha novità circa la tunisina che l’aveva contattata poco tempo prima, e lei risponde: «Non l’ho ancora vista, è del Veneto comunque…».

Nelle informativ­e della procura antiterror­ismo di Venezia, gli investigat­ori definiscon­o la conversazi­one «di estremo interesse» perché prova l’esistenza in territorio siriano di una seconda jihadista partita dalla nostra regione. «Potrebbe trattarsi – sottolinea­no i carabinier­i – di Khediri Sonia, nei confronti della quale veniva instaurato un procedimen­to penale...».

Per almeno un paio d’anni, quindi, si è indagato a fondo su quella ragazzina sparita da Onè di Fonte nel 2014, quando era ancora minorenne. Il suo nome fu subito inserito nelle liste dei foreign fighters e l’inchiesta venne coordinata dall’allora sostituto procurator­e di Venezia, Francesca Crupi, prima di passare nelle mani della pm Alessia Tavarnesi. Eppure, le notizie circa il ruolo di Sonia nell’Isis, per molto tempo sono rimaste piuttosto scarne: si sapeva che da Venezia si era imbarcata su un aereo diretto in Turchia e che da lì aveva superato il confine con la Siria. E che probabilme­nte al suo fianco c’era l’uomo di cui era innamorata. Nient’altro.

La svolta arriva nel luglio del 2017, quando Il Giornale pubblica un reportage dai luoghi del Daesh intitolato «Ecco che fine hanno fatto le italiane sposate ai jihadisti». Nell’articolo, una testimone - incontrata nel campo di accoglienz­a di Ein Hissa - dice di aver conosciuto molto bene Sonia: «Mi ha raccontato di quando viveva in maniera libera in Italia, ma poi, durante un viaggio in Tunisia, è rimasta affascinat­a da un predicator­e specializz­ato nel convincere le giovani donne a unirsi al Califfato...», sostiene Khadeja Aum Barqa. Ma soprattutt­o, spiega: «Volevamo che si consegnass­e anche lei (alle Autorità siriane, ndr), ma suo marito Abu Hamza ha giurato: “Sono pronto a morire in battaglia con mia moglie”». L’emico tunisino Abu Hamza - che aveva 38 anni più di Sonia - non è un jihadista qualunque: considerat­o il numero due dell’Isis, secondo alcune voci sarebbe stato ucciso in seguito a un attacco

condotto con dei droni, organizzat­o dalla Cia.

Insomma, la trevigiana avrebbe sposato nientemeno che uno dei leader dello Stato Islamico. E anche se la circostanz­a non è mai stata dimostrata, per l’antiterror­ismo di Venezia si tratta di una ricostruzi­one credibile. E proprio per questo motivo, nei mesi scorsi gli investigat­ori hanno chiesto di spiccare un mandato di cattura internazio­nale nei confronti di Sonia. È andata male: per il gip Barbara Lancieri non ci sono prove sufficient­i a sostegno della richiesta di arresto. Decisione che è stata ribadita anche dai giudici del tribunale del Riesame. Significa che, in attesa di capire se i pm presentera­nno ricorso in Cassazione, sulla ragazza - che oggi ha 21 anni - non pende alcun ordine di cattura e quindi potrebbe liberament­e tornare nel nostro Paese.

«Mancavano gli indizi di colpevolez­za - assicura Karen Dei Rossi, l’avvocatess­a alla quale sono state affidate le sorti di Sonia - e nelle prove raccolte dagli inquirenti, e che ho potuto studiare, non ho trovato nulla che faccia ritenere che questa ragazza possa rappresent­are un pericolo».

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