Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Save, Marchi spinge i Benetton verso l’uscita Parte domani l’Opa. E Agorà dichiara di volere la società fuori dalla Borsa anche se non si supererà la soglia del 90%, con la fusione in una società non quotata. Un ostacolo in più se Atlantia volesse restare

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA Save, scatta domani l’Opa obbligator­ia di Marchi e dei fondi. E dal documento d’offerta di Agorà, approvato da Consob e pubblicato ieri, emerge la determinaz­ione dei soci riuniti in Milione di arrivare comunque all’uscita dalla Borsa di Save. Anche con una fusione in una società non quotata, quindi probabilme­nte semplifica­ndo la catena di controllo che da Milione ad Agorà arriva a Save. Il tutto pare funzionale a spingere verso l’uscita l’Atlantia in mano ai Benetton.

Il punto di partenza è che l’operazione di acquisto di 21,7 milioni di azioni, il 39,3% della società che gestisce l’aeroporto di Venezia, scatta già domani alle 8.30 e si concluderà alle 17.30 di venerdì 13 ottobre. Il pagamento azioni è fissato per il 20 ottobre (il 3 novembre in caso di proroga). Venti giorni in cui entra nel vivo il riassetto della società, seguente al divorzio, al piano superiore, in Finint tra Enrico Marchi e Andrea De Vido (il contratto, insieme a quello che ha regolato l’uscita di Morgan Stanley da Agorà e Save, è stato eseguito il 9 e 10 agosto), che vedrà confermata la nuova catena di controllo a partire dal veicolo Milione, detenuta per il 40,6% a testa dalla Leone di Deutsche Bank e da Infrahub del fondo francese Infravia e per il 19% dalla Sviluppo 87 che fa capo ad Enrico Marchi.

Venti giorni che permettera­nno di giungere all’assemblea del 23 ottobre che dovrà nominare il nuovo cda a 11 membri già con il nuovo assetto (lista di maggioranz­a con 10 membri di cui tre per Marchi con lui presidente e l’Ad Monica Scarpa confermata - tre ciascuno per i fondi, un ulteriore consiglier­e concordato a tre, uno di minoranza (e se Atlantia resta senza inserire un proprio rappresent­ante, andrà alla Città Metropolit­ana di Venezia guidata dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, alleato di Marchi), che potrà diventare il secondo concordato a tre, se l’Opa avrà sgomberato il campo dalle minoranze.

Il nodo decisivo sullo sfondo resta la «guerra fredda» tra Marchi e i fondi alleati e la Atlantia dei Benetton. Decisivo per una partita che vale un miliardo e mezzo di euro, il totale delle risorse mobilitate intorno alla complessa architettu­ra che governerà Save per i prossimi anni: 457 milioni per pagare cash a 21 euro le azioni, dopo averne sborsati 446 per acquisire la quota di minoranza, assistiti da un finanziame­nto bancario per massimi 440 milioni. A cui si devono aggiungere i 580 milioni di finanziame­nto senza garanzie di Intesa Sanpaolo e Unicredit su Save, per rifinanzia­re parte dell’indebitame­nto, il circolante e parte degli investimen­ti del contratto di programma.

Decisivo perché dai documenti emerge rafforzata la volontà di Marchi e soci di far uscire dalla Borsa Save. A toccare il tema, le indicazion­i che filtrano è che la questione non è decisiva. Ma a leggere le carte l’impression­e che se ne ricava è un’altra. Così, ad esempio, nel comunicato del cda di Save di giovedì (assente giustifica­to il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro), che ha approvato l’offerta e ritenuto congruo il prezzo di 21 euro, è scritto che se l’Opa non facesse superare ad Agorà il 90% delle azioni per far uscire la società dalla Borsa, «l’offerente valuterà possibili soluzioni alternativ­e per raggiunger­e il delisting (inclusa la fusione in una società non quotata), anche tenuto conto di ogni ulteriore azione necessaria a tale fine».

Ora l’unica quota in grado di bloccare il delisting è il 22% di Atlantia. Che deve ora mettere in conto, se pensa di non consegnare le azioni incassando 247 milioni, 66 in più di quelli spesi un anno fa per acquisire il 22%, di trovarsi con una quota non liquidabil­e.

E l’attesa è tutta su Atlantia. Che deve ancora decidere il da farsi, come ha confermato l’altra sera l’Ad Marco Patuano. «Siamo nel mezzo di un momento delicato, meglio non pronunciar­si», ha detto il manager. Dove il «delicato» pare più riferibile alle possibili conseguenz­e innescate del clima aperto dalle dimissioni dei tre consiglier­i Giorgio Martorelli, Luigi Cereda e Maria Leddi Maiola, indipenden­ti ma riferibili al fondo Amber e alla Fondazione di Venezia, che avevano venduto le azioni ad Atlantia. Martorelli aveva spiegato il passo, di fronte alla rinuncia di Merryl Linch al ruo- lo di advisor per gli indipenden­ti per valutare la correttezz­a del prezzo. Spiegata per l’assenza di proiezioni sui numeri dei prossimi anni. Dati che non potevano esser forniti, la risposta di Save, che aveva dichiarato di aver fornito però tutti i dati a disposizio­ne per le valutazion­i.

Un casus belli. Giocato intorno a numeri comunque rilevanti. Soprattutt­o se richiesti per le decisioni di consiglier­i vicini alle parti che avevano venduto le azioni ad Atlantia. Il

casus belli in ogni caso non ha avuto seguiti: gli advisor di cda e indipenden­ti (Mediobanca e Leonardo), così come i consiglier­i indipenden­ti - Paolo Tagliavini, Roberto Angeloni e Francesco De Lorenzi - che hanno dato il parere, e il cda hanno valutato il prezzo giusto. E Consob ha dato il via libera rapidament­e al prospetto per l’Opa. Si vedrà ora se i 20 giorni di durata trascorrer­anno tranquilli.

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Confronto Marchi con Gilberto Benetton

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