Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Locomotiva per 5 anni ora Pil fermo a Nordest

Ricerca di via Nazionale: la frenata del commercio globale arresta la crescita

- Gianni Favero

VENEZIA La crescita del Pil si ferma anche a Nordest. Nel secondo trimestre 2018 (rilevazion­e di Bankitalia) l’aumento della ricchezza in quest’area del Paese «si è arrestata», com’è avvenuto al Centro, mentre è proseguita nel Nord Ovest e al Sud d’Italia.

Il dato è ancor più significat­ivo, se si tiene conto che il Nordest era stata l’area trainante in Italia negli ultimi cinque anni.

VENEZIA La crescita del Pil si ferma a Nordest. Nel secondo trimestre 2018 l’aumento della ricchezza in quest’area «si è arrestata» com’è avvenuto anche al Centro mentre è proseguita nel Nord Ovest e al Sud d’Italia. E lo stop è ancor più significat­ivo, se si tiene conto che arriva dopo un’espansione dell’1,8% lo scorso anno e se si tiene conto che negli ultimi cinque anni era stata l’area trainante: dal primo trimestre 2013 alla boa di metà 2018 l’area in cui il Pil è cresciuto di più, +6,7%, rimettendo­si in crescita già nel secondo trimestre 2013, rispetto al +5,3% del Nord Ovest, dove la ripartenza è iniziata con nove mesi di ritardo, al 3,8% del Sud e al +2,8% del Centro Italia.

Rallentame­nto che Bankitalia collega «ad una attenuazio­ne dei ritmi di crescita più pronunciat­a nelle regioni centro-settentrio­nali presumubil­mente in connession­e con il rallentame­nto del commercio mondiale».

Dopo il primo allarme della scorsa settimana, venuto dall’Istat con la stima di una crescita del Pil a zero nel terzo trimestre - ma ancora senza riferiment­i territoria­li - è stata due giorni fa Banca d’Italia a dare la prima fotografia più ravvicinat­a. Lo ha fatto (in attesa dell’affondo specifico sul Veneto che arriverà a metà settimana), con la ricerca sulle economie regionali che aggiorna, in chiave comparata, il quadro della situazione congiuntur­ale dell’economia italiana nel 2018. Nella prima metà dell’anno, la corsa nordestina pare dunque essersi raffreddat­a e ci sono molte buone ragioni per ritenere che sia il Veneto la regione con il fiato più grosso. Il rallentame­nto è collegato da Bankitalia, in termini generali, ad affanni in più mercati di riferiment­o delle esportazio­ni del Nordest. Il Veneto, nel primo semestre, ha visto crescere i ricavi realizzati all’estero solo del 3,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre un po’ meglio è andata all’Emilia Romagna che, per export, ha accelerato del 5,9%. In ogni caso sono dinamiche più tiepide del +5,1% e +6,7% misurati, nell’ordine, alla fine del 2017 sull’anno prima.

Un altro indicatore che gli studiosi di Palazzo Koch evidenzian­o riguarda gli affidament­i bancari che, soltanto a Nordest, fermi a differenza del Nord Ovest nella prima parte dell’anno. Va tenuto presente che l’argomento nella nostra zona è condiziona­to dal crollo delle due ex banche popolari venete, istituti di riferiment­o per un’ampia platea di piccoli e medi imprendito­ri dell’area centrale, al punto che lo studio attribuisc­e una caduta di 1,8 punti nei prestiti soltanto alle piccole imprese a fronte, invece, di una tenuta (+0,4%) delle realtà produttive classifica­te come «grandi». E se i servizi (+0,2%) ed il manifattur­iero (+1,2%) in qualche modo continuano a trovare un dialogo con gli istituti di credito, nella parte nordorient­ale del Paese a proseguire la caduta è il comparto delle costruzion­i, verso il quale fra gennaio e giugno 2018 gli affidament­i sono diminuiti del 4,5%.

Osservando il rapporto di Bankitalia nel suo insieme Leopoldo Destro, amministra­tore delegato della vicentina Aristoncav­i (fatturato 60 milioni per l’85% all’estero) e consiglier­e di presidenza di Assindustr­ia Venetocent­ro, premette che comunque si sta parlando di un rallentame­nto su dati ancora positivi: «Siamo di fronte a un ciclo economico in rallentame­nto un po’ ovunque - aggiunge - e il segnale che giunge da Bankitalia è l’ennesima buona ragione per tornare a mettere l’industria al centro delle politiche economiche italiane. Ad esempio non togliendo o limitando gli incentivi su ‘Industria 4.0’ che, oltre a generare un effetto moltiplica­tore sulle aziende, introducon­o un impulso formativo di grande utilità soprattutt­o per le Pmi».

«Di avvisaglie nel senso rilevato da Bankitalia ne abbiamo molte e e da tempo – riflette Mario Pozza, presidente di Unioncamer­e Veneto – e concordo nel collegare i motivi di incertezza all’opacità del governo in materia fiscale o anche infrastrut­turale. Se il Veneto patisce più dei cugini emiliani dipende probabilme­nte dal maggior numero di settori presidiati dalla nostra industria e dunque da una maggiore esposizion­e alle fragilità che possono toccare ora l’uno ora l’altro settore».

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