Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Un crooner a Venezia
Il racconto del premio Nobel Kazuo Ishiguro ambientato in Laguna. Un cantante americano e il rapporto con la moglie: l’idillio si trasforma in un gioco di illusioni
«Allora Phoenix la facciamo in mi bemolle. Poi, magari, I Fall in Love Too Easily, come programmato. E concludiamo con One for My Baby». In un canale di Venezia, nella luce fioca di un lampione, un cantante americano dal passato glorioso e ora semidimenticato fa la sua serenata alla moglie alla finestra, accompagnato da un giovane musicista polacco, che ha reclutato quasi casualmente in un caffè. Potrebbe sembrare un idillio poetico, l’inizio di una dolce avventura il racconto breve di Kazuo Ishiguro Crooner, originariamente incluso nella raccolta «Notturni», pubblicata per la prima volta nel 2009 e che Einaudi ripubblica ora come singolo. E invece così non va, proprio per niente, e le cose non saranno come appaiono. In questa nuova edizione la casa torinese ha omaggiato sontuosamente lo scrittore vincitore del Nobel per la letteratura 2017 (l’edizione 2018 come sappiamo è andata vacante, causa MeToo e scandali sessuali) con i disegni di Bianca Bagnarelli, giovane illustratrice milanese dal tratto felicissimo. Per Crooner Bagnarelli ha optato per una magnifica, ricorrente sequenza di toni del blu, del celeste, del lilla, del grigio, resi con lo stile del fumetto, quasi si trattasse di tavole di una graphic novel, con tagli di luce, zoom e inquadrature. Il gusto è nei dettagli: l’abito smanicato di Mrs. Gardner, un bouquet in un albergo, l’espressione sui volti di due clienti del ristorante, il cono di luce di una lampada. E, a sigillo della venezianità della storia, il ferro di prua della gondola, bordato di oro e di turchese.
«Quel mattino di primavera eravamo lì a suonare per una discreta folla di turisti, quando, chi ti vedo? Tony Gardner, tutto solo davanti al suo caffè, quasi di fronte a noi, a un sei metri dal tendone. Ci capita di continuo gente famosa in piazza, non ci facciamo più caso». Il racconto lagunare di Ishiguro, narrato in prima persona dal chitarrista Jan detto Janeck, che suona tra gli storici caffè veneziani Lavena, Quadri, Florian, comincia con l’incontro del ragazzo con il cantante di musica leggera, ormai sulla sessantina, e con la moglie Lindy di poco più giovane. Una donna nervosa, contraddittoria, che prima stuzzica il marito, poi protesta, poi mostra di riconciliarcisi bruscamente.
Il passaggio che fa da chiave di volta della storia compare presto nel testo, ed è una crepa di disillusione nella plasticata Venezia che subito si apre, rispetto alle prime, affrettate impressioni di «romanticismo» dell’intera scenetta: quando il leggendario crooner propone al giovane musicista di accompagnarlo in una serenata in gondola sotto l’hotel dove sta la sua donna, il narratore ha una reazione quasi immediata di sospetto. «In effetti, il progetto era talmente tenero da farmi quasi dimenticare, ma sottolineo il quasi, la scena tra loro a cui avevo appena assistito. Voglio dire insomma che, già a quel punto, in cuor mio sapevo che le cose non sarebbero state chiare e semplici come voleva farle apparire lui». Dunque il cantante non vuole davvero sedurre la moglie; forse non è amore né tenerezza quello che lo muove; forse è il caso di cominciare a collezionare gli indizi di qualcosa d’altro. Nella storia Gardner si rivelerà pomposo e finto, e intorno a lui prevarranno gli illusionisti, come il bugiardo e xenofobo gondoliere Vittorio, ovvero chi «usa la parola non per rivelarsi ma per nascondersi dagli altri», come ha scritto un critico cinematografico, citato da Paolo Mereghetti, a proposito di Eva contro Eva di Mankiewicz. Si riconosce la mano dell’autore di Quel che resta del giorno, che comprime nelle parole della prosa quotidiana, nella «normalità» del romanzo flaubertiano la gamma più ampia dei sentimenti umani: la passione, il rancore, la dissimulazione, il desiderio, l’entusiasmo, l’invidia. Più tali emozioni sono forti ed esigenti, più le parole che le descrivono sono asciutte, minimaliste, quasi prudenti. La bellezza della scrittura è in questo iato, in questo pudico gioco di nascondimenti.
Venezia, dai levantini delle epoche passate ai turisti cinesi e americani di oggi, è un luogo di contraffazioni, di maschere, di lateralità: «non sono italiano, figuriamoci veneziano», riflette Jan. «Vale pure per quel ragazzone ceco che suona il sax alto. Voi limitatevi a suonare e a tenere la bocca chiusa, ecco cosa ci dicono sempre i direttori. Così i turisti non si accorgono che non siete italiani. Vi presentate in giacca e cravatta, occhiali da sole e capello liscio, e nessuno vedrà la differenza, basta che non vi mettiate a parlare». Ma la Laguna è anche luogo di miscugli e intrecci, e in questo anticipa e riecheggia il fantastico melting pot londinese di questi decenni, da cui l’autore proviene. In fondo, se nel Regno Unito sono sorti scrittori come Ishiguro, come Salman Rushdie, come Hanif Kureishi è perché è esistita una cosa chiamata impero britannico, ma anche perché esiste una cosa chiamata globalizzazione. L’odiata globalizzazione.