Quei lontani (e allucinanti) Milano-Napoli
Oggi Milano-Napoli si fa in quattro ore. Quand’ero militare alla scuola di trasmissioni di San Giorgio a Cremano ce ne volevano undici. Rientravo dalle licenze col treno di notte da Milano Centrale. Nelle carrozze piene all’inverosimile, gli uni addossati agli altri, gli italiani s’affratellavano in un tanfo di materia vivente. Un odore vago e un po’ vagone, che cresceva in progressione inesorabile con la svestizione di giacche e scialli, con slacciamenti di bottoni e cinture, per finire con la rimozione di scarpe e calzini e la liberazione di centinaia, forse migliaia di piedi. A quel punto, prima che si spegnessero le luci, tutto quel turbinio di molecole si sublimava nel cibo. Da borsoni, valige o sporte venivano estratti bottiglioni di rosso, pagnotte, cartocci di salume impiastrati di grasso e una varietà infinita di formaggi, uno dei quali non mancava mai e suggellava quei momenti di vita patria col nome non casuale di Bel Paese. Attorno a Pasqua vidi spalancare una valigia che conteneva una pecora divisa in due. Un’altra volta un giovane in giacca, cravatta e ciuffo alla Elvis sfilò dai bagagli una scatola di cartone, la scoperchiò e rimase alcuni secondi a rimirarne il contenuto. Dentro si agitavano cinque cuccioli di dalmata. «Vado in bagno», disse uscendo dallo scompartimento. Pensavo che volesse dare ai cagnolini un po’ d’acqua. Al ritorno la scatola era vuota. Erano viaggi allucinanti e forse aveva ragione quel commilitone di Modena, che ogni volta se ne scendeva dal treno tutto soddisfatto, e tornando in caserma raccontava come aveva passato la notte, amoreggiando con la passeggera di turno.