Amarcord lieve di un’antidiva
Adriana Asti ha conquistato ancora una volta il pubblico milanese con «Le memorie di Adriana», un viaggio nella vita e nel teatro, frammenti a disegnare una grande attrice, una «diva» antidiva e una donna speciale, anticonformista, ironica intelligente e libertaria, un viaggio ben messo a fuoco dalla regista Andrée Ruth Shammah. Un percorso che ha come fulcro la magia del teatro, luogo reale della realtà inesistente, dell’effimero che si specchia e si compendia nell’effimero della vita (al Parenti ultima replica). Adriana si è chiusa in camerino e non vuole recitare, panico in compagnia. Ma ci pensa lei il suo alter-ego, l’attrice, colei che è rimasta «impigliata nelle tavole del palcoscenico» dalle prime volte che lo ha calcato, per caso dice, ma molte volte il caso assomiglia alla necessità. L’attrice parla di Adriana, folle e dolce, timida e indisponente degli importanti registi che hanno attraversato la sua vita e la sua carriera, della sua nudità esibita come un costume a protezione della se stessa che odia, eppure ama esibirsi. Canta recita, ammicca col suo visino dispettoso e tutto si fonde e vive nel suo straordinario e eclettico talento. Interprete di divertita leggerezza e irriverente malizia, tragica e spavalda, bravissima in questa spettacolo-serata d’onore che Shammah ha reso preziosa, svelando come il teatro sia un vero luogo di libertà.