Corriere della Sera (Brescia)

Gli spartiti «aperti» di Bach nel genio emozionale di Bahrami

Al Teatro Sociale il pianista iraniano per le X Giornate con Danilo Rea

- Nino Dolfo

Nemico giurato dell’esecuzione musicale come routine e ritualità. Ramin Bahrami è considerat­o a livello internazio­nale uno dei più grandi interpreti di Bach. La sua devozione militante al genio di Eisenach ha avuto inizio quando a cinque anni ascoltò un ellepì di Glenn Gould (le variazioni Goldberg). Il pianista iraniano, che questa sera alle 21.15 al Teatro Sociale si esibirà in concerto con Danilo Rea nell’ambito delle X Giornate, non ama infatti l’approccio poco vissuto con la partitura scritta.

«I testi — ci dice — ci vengono dati in prestito e dobbiamo restituirl­i facendone un buon uso. Paradossal­mente non è detto che nemmeno gli autori siano gli interpreti migliori dei loro brani. Mi spiego: se devo interpreta­re Charlie Chaplin, ho bisogno della bombetta e del bastone, sicurament­e non di un costume da bagno, ma poi devo comunicare l’emozione, la spirituali­tà, che non può coincidere solo con il virtuosism­o tecnico di una mimesi. L’interpreta­zione è quella linfa che fa sì che l’oggetto d’arte non diventi qualcosa di antiquato e morto».

Peraltro anche Bach sembra improvvisa­sse molto.

«Esatto. I suoi spartiti sono poco più di canovacci e lui non li eseguiva mai allo stesso modo, ma con assoluta libertà. Bach ha scritto la musica più mobile e riciclabil­e, la più adatta ai cambiament­i».

La modernità di Bach, tra contrappun­to e canone inverso, è un esempio di apertura, di dialogo. E di dialogo oggi ne abbiamo più che mai bisogno.

«Stiamo vivendo uno dei periodi più incivili e bui dell’umanità, dominati dall’ignoranza e dalla mediocrità, appunto per questo abbiamo bisogno del dialogo, della convivenza. Dobbiamo rifondare la cultura, abbiamo bisogno di Bach e Beethoven. Ma anche di Dante, Michelange­lo, Goethe e Avicenna, medico e filosofo, persiano come me. Sono loro che hanno messo le basi di ciò che ci rende umani, insieme alle dottrine religiose che parlano del bene comune. Senza queste radici, siamo una massa di morti viventi».

Oriente e Occidente in lei convivono in simbiosi perfetta.

«Questa è una fortuna. Mio padre era persiano, ma anche metà tedesco (mia nonna era di Berlino), mia madre aveva origini russo-turche. Io ho sposato una italiana e mia figlia è per metà italiana. Mi sento orientale ma amo l’Occidente, soprattutt­o la bellezza italiana. Mi considero un bazar di culture. Ma anche la musica di Bach è un esempio prodigioso di contaminaz­ioni».

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In scena Il pianista Bahrami al teatro Sociale per le X Giornate

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