L’evoluzione umana? Nelle nostre mani
Il Collegio Universitario Luigi Lucchini, in collaborazione con il Centro Linceo Interdisciplinare “Beniamino Segre” dell’Accademia dei Lincei e la Fondazione Grazioli, ha organizzato la Quarta lezione sulla scienza affidandola a Giorgio Manzi Ordinario di Antropologia alla Sapienza – Univ. di Roma, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei e direttore del Museo di Antropologia «G. Sergi». Il noto paleoantropologo inizia la sua lectio magistralis ricordando Darwin e la sua teoria sull’ evoluzione della specie, precisando che sono 150 anni che la teoria di Darwin è consolidata ed anche arricchita da altri successivi ed importanti contributi da parte della biologia molecolare e della genetica. Manzi esorta anche a porre maggiore attenzione nel trasmettere informazioni riguardanti la discendenza diretta dell’uomo dalla scimmia perché, spiega «L’ uomo stesso è una scimmia o, meglio, è una delle 400 specie viventi; abbiamo parenti stretti tra gli scimpanzé, i gorilla e gli orangutan. Noi siamo tra loro e nel nostro percorso evolutivo c’è una vera foresta di antenati». La differenza dunque tra “loro” e i nostri antenati è che loro sono rimaste scimmie mentre i nostri avi hanno fatto un percorso che li ha portati ad evolversi diversamente. Sull’ importanza del cervello come organo che ha guidato l’evoluzione di Homo sapiens Manzi afferma che non saremmo le forme così intelligenti che siamo se non avessimo guadagnato la posizione eretta grazie alla quale i nostri primi antenati potevano avvistare un pericolo e sopravvivere. Così come lo sviluppo dell’opposizione del pollice ha avuto una importanza cruciale nell’ evoluzione donando alle mani l’agilità necessaria per creare oggetti sino ad arrivare, nel corso di 2 milioni di anni, allo sviluppo del nostro grande cervello e quindi al pensiero simbolico, alle prime forme di linguaggio. Sul famoso anello mancante tra scimmia e uomo lo scienziato sostiene che l’anello non è stato mai trovato perché di fatto non esiste. «Si tratta di un mito ottocentesco nato quando i reperti erano ancora pochi». La stessa piccola Lucy, scoperta nel 1974 nel deserto di Dancalo in Etiopia e risalente a 3,2 milioni di anni fa, con il suo poco più di un metro d’altezza, il cranio non più grande di una noce di cocco, la dentatura particolare e l’ossatura dell’anca tipica di un bipede, fu ritenuta essere il possibile anello di congiungimento tra scimmia e uomo. Poi, in tempi più vicini a noi, di anelli mancanti ne sono stati trovati tantissimi, «una selva di anelli mancanti, se proprio li vogliamo chiamare così» puntualizza Manzi, «vale a dire creature che non sono né come noi né come altre scimmie». Possiamo anche affermare che l’evoluzione della nostra specie, Homo sapiens, si è svolta tutta in Africa sino a circa 100mila anni fa, quando gli esseri umani moderni lasciarono il continente africano e cominciarono a colonizzare il mondo intero. Il prof. Manzi riconosce l’assoluta complessità della storia sulle origini del genere umano che, con le continue nuove conoscenze, muta di giorno in giorno ed è questa la ragione che lo ha portato di recente a scrivere il libro «Ultime notizie sull’ evoluzione umana». Evoluzione che oggi è nelle nostre mani «Siamo noi che dobbiamo trasformarci in “controllori” con un preciso ruolo nei confronti della natura e di noi stessi se desideriamo conservare il pianeta e il genere umano». Il pericolo? L’ estinzione.