Corriere della Sera - Io Donna

Maria Laura Rodotà LA GANG DELLE AMICHE

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il dibattito americano più cretino del momento (ah, no, ci sono le primarie con Donald Trump sulle mestruazio­ni e quelli contro l’aborto in caso di violenza e incesto) è sul mito dell’amicizia femminile. Secondo alcune/i, è ora un obbligo sociale: è necessario, lamentano alcune commentatr­ici, essere parte di un gruppo di femmine con cui comunicare, uscire, e - orrore che cosa da maschi - far casino. È diventato uno status, una questione ansiogena; lo sostiene Phoebe Matz Bovy sul New Republic, convinta che chi non ha la sua banda oggi si sente inadeguata come una che non ha un uomo e non fa abbastanza sesso. D’altra parte, scrive Ann Friedman sul Guar

dian, parlando della sitcom Broad City, «quando il lavoro è scarso e poco appagante, quando la vita personale è deludente, le tue migliori amiche diventano la tua vita ». Intanto, Emily Witt propone un saggetto sul New York Times sull’ «ossessione culturale per l’amicizia femminile». Che, obietta, crea nuove ansie («avrò abbastanza amiche?»). Però nota come l’ossessione/neoculto sia (sia, forse, soprattutt­o) un passaggio epocale nell’evoluzione delle donne occidental­i: « un’alternativ­a ai ruoli di genere arcaici». E un’aspirazion­e, un modo di vivere innovativo rispetto ai vecchi obiettivi indotti, il matrimonio, la riproduzio­ne, la casa con cui far bella fgura, ecc. Ora ci sono le ghenghe di donne, è vero. Ora è il momento di raccontare e celebrare la nuova capacità delle femmine di fare gruppo, non di criticarsi subito, magari.

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