Le regole per il litigio perfetto (tra amici)
Vicine di casa che si accapigliano. Coppie solidali che esplodono. Ex compagni che piantano a metà feste e vacanze. Il tasso di confittualità tra adulti è aumentato. Ecco pochi consigli per disinnescare le micce (forse). Affdandosi anche a un’arte marzial
Paola e luisa, vicine di pianerottolo, sono amiche. Un giorno Luisa buca per errore il muro che la separa dall’appartamento di Paola. Disastro. Quando Paola le chiede di pagare il danno, Luisa, offesa, ne fa una questione di principio: non si mescola l’amicizia con il vile denaro. Il tribunale però le dà torto e la costringe a pagare 800 euro. Ora le due donne non si rivolgono la parola». Augusto Cilea, segretario nazionale di Assocond (Associazione dei condomini), conosce bene le liti tra amici per beghe da poco: «Compagni di scuola, quasi fratelli, che se ne dicono di tutti i colori per i panni stesi o un posto nel parcheggio».
Ma l’amicizia non dovrebbe essere il luogo della sincerità, del dialogo senza sconti? Mica tanto. Anche tra amici si litiga, e tra le urla emergono verità nascoste: succede in
Dobbiamo parlare, il flm di Sergio Rubini in uscita il 19 novembre. Al centro della storia due coppie, diverse ma molto legate, che in una lunga notte se le cantano, rinfacciandosi ipocrisie e silenzi. E se sono comprensibili le scenate tra i coniugi (c’è di mezzo un tradimento), più inaspettati emergono i confitti tra gli amici: adulti che si scelgono, senza obblighi, magari anche perché fa comodo condividere una vacanza.
Il flm mette a fuoco un tasto dolente: oggi il tasso di confitti tra adulti è salito in via esponenziale: un po’ perché «siamo tutti più permalosi, ci offendiamo per scemenze» come sostiene lo scrittore Diego De Silva (che ha collaborato alla sceneggiatura del flm), un po’ perché la gente la lega al dito per pochi euro (e qui parla l’avvocato Cilea), e un po’ anche perché per molti l’adolescenza, con il suo carico di egocentrismo, immaturità nelle relazioni, incapacità di ascoltare gli altri, non fnisce mai. Ed ecco che, implacabile, salta la mosca al naso.
«In teoria l’amico è leale, conosce i tuoi limiti e li accetta. Nella pratica, spesso gli amici si tollerano, e basta poco per far saltare il tappo» sostiene De Silva. «Il peggio arriva se il silenzio è covato troppo a lungo; a quel punto parte lo scatto retroattivo, che mette in discussione il passato. Lì, è brutta». Aggiunge Rubini: «Parlare signifca scavare, ma scavando troppo si fnisce in una zona d’ombra. Certo, l’amicizia ha più possibilità di
resistere rispetto all’amore, perché c’è un minore coinvolgimento. In compenso, ci si scontra più facilmente». Evidentemente, si tocca un nervo scoperto, perché è tutto un forire di manuali sulla gestione dei litigi tra adulti. «La vera amicizia si vede nel confitto: se fnisce, vuol dire che era opportunistica » è il parere del pedagogista Daniele Novara, fondatore a Piacenza del Cpp (Centro psicopedagogico per la gestione dei confitti). Il suo Meglio dirse
le ( Rizzoli) parla a coppie e adulti in genere: «Litigare fa bene, anche tra amici. Fa crescere il rapporto, è stimolante. L’importante è non essere distruttivi, seguire delle regole».
quali? un suggerimento arriva da Vittoria Cesari Lusso, autrice di Dinamiche e ostacoli della comunicazione inter
personale ( Erickson): «Si può buttarla sull’ironia. Chiedersi: come posso peggiorare questa lite? Facciamo una gara di difetti, io sono il campione. Importante è che almeno uno dei due litiganti abbia il non orgoglio di dire: vogliamo vedere da dove siamo partiti? Così si ferma la scalata verso il punto di non ritorno». Altrimenti, per rovinare tutto, basta un po’ di veleno, e il rapporto si chiude là.
Per Henrik Fexeus, guru svedese della comunicazione ( Come migliorare le tue relazioni in un’ora, Vallardi), per uscire bene da un litigio ci sono due possibilità: la prima è far parlare l’altro senza interromperlo, lasciando a lui/lei la fatica di arrivare in fondo. L’altra è mostrarsi d’accordo. Che non signifca non litigare, tanto meno mentire o rinunciare alle proprie idee, ma invece attaccare con: «Se fossi in te, la penserei allo stesso modo » . Così, almeno, si crea un punto di partenza in comune per una discussione. Funzionerà? Forse. Il bello di un’amicizia è che ci si può defilare elegantemente. Senza pagare alimenti. Diverso il caso dei conflitti tra parenti, ma questa è un’altra storia. E un altro manuale: Il linguaggio segreto della famiglia, di Tracy Hogg (Mondadori). Per cominciare non litigando in casa.
Attaccare frontalmente l’avversario non serve a nulla. Meglio dirgli: “La penso come te”. Per spiazzarlo e portarlo (pacifcamente) verso il nostro personale punto di vista