Corriere della Sera - La Lettura
Robinson Crusoe in fuga nei boschi per 27 anni: volevo perdermi
Il 4 aprile 2013 l’agente Diane Vance ha davanti a sé Christopher Knight, l’uomo della montagna. Inizia l’interrogatorio. Vance: «Indirizzo?». Knight: «Nessuno». Vance: «Dove ti mandavano la posta?». Knight: «Niente posta». Vance: «Dov’è il tuo veicolo?». Knight: «Non ho veicoli». Vance: «Chi viveva con te?». Knight: «Nessuno». Vance: «Dove hai vissuto?». Knight: «Nei boschi». Vance: «Da quanto tempo vivi nei boschi?». Knight: «Da decenni». Vance: «Da che anno?». Knight: «Qual era l’anno del disastro di Chernobyl?». Il 1986. Ecco, l’incredibile storia di solitudine inizia quando l’Europa trema per la nube sprigionata dalla centrale ucraina. Christopher, ventenne, cresciuto in una famiglia senza troppi fronzoli del Maine, con un buon lavoro e nessun amico, decide di sparire. Sale sull’auto, si dirige verso sud, in Florida, poi torna indietro nel Maine, si inoltra in una strada locale, quindi imbocca uno sterrato fintanto che ha benzina. Quando il serbatoio è vuoto, scende, appoggia le chiavi sul cruscotto e si incammina in una zona boscosa del North Pond, portandosi dietro poche cose per il campeggio. L’essenziale. Cercherà il suo rifugio, lo troverà a pochi metri da baite di vacanza. Ma ben nascosto da alberi e grosse rocce che lo rendono invisibile come era invisibile all’epoca della scuola e dall’adolescenza. Pochi lo avevano notato. E come un moderno Robinson Crusoe resterà lontano da tutto e da tutti per 27 anni. Un romanzo vero raccontato nel libro The Stranger in the Woods, di Michael Finkel, unico giornalista con il quale ha accettato di parlare. Raccontando molto sui dettagli, svelando poco sulle ragioni della sua scelta di vita. Che sarebbe potuta diventare di morte.
Per resistere, Christopher costruisce la sua «capanna» usando ciò che ruba nelle case estive della zona. Compirà quasi mille furti, portando via abiti, coperte, sacchi a pelo, utensili e tante riviste. Copie di «National Geographic», «Playboy», «Vanity Fair», «People», «Glamour». Chris le impiegherà per realizzare il pavimento del nascondiglio. Garantivano un buon drenaggio e potevano essere rimpiazzate facilmente. A far da tetto un grosso telo, un buco nel terreno come wc, corde tra gli alberi dove appendere scorte e pentole. Le distrazioni sono le letture di libri importanti, dal Giulio Cesare di Shakespeare ai testi di questioni militari. Tempo libero: musica da una radio — «mi piacevano Led Zeppelin e i Deep Purple» — e i programmi ricevuti da una tv alimentata con batterie per auto. Durante le incursioni riempie lo zaino di cibo in scatola e lascia quello cominciato o «fatto in casa» perché teme sia contaminato. Si muove solo di notte, con una torcia appesa al collo puntata verso il basso per non farsi riconoscere. Christopher ha un’ossessione: non farsi trovare. D’estate compie sempre lo stesso percorso, mettendo in piedi nel medesimo punto per ingannare i trackers capaci di leggere le tracce. D’inverno non esce mai per non lasciare impronte nella neve. Una scelta che lo obbliga a una dieta particolare: prima che arrivi il grande gelo — le temperature scendono fino a meno 30°—, cerca di accumulare grasso come fanno gli orsi.
In questi lunga finestra temporale l’eremita — ma a lui questa definizione non piace — avrà un solo incontro con degli «stranieri», degli escursionisti, un incidente che non comprometterà però la sua fuga dal mondo. Sarà l’unica occasione in cui pronuncerà una parola: «Salve».
Il racconto di 27 anni di solitudine non ha mai convinto gli abitanti della zona, alcuni infuriati con il responsabile dei furti. Ancora oggi l’80 per cento pensa che la sua storia sia una colossale frottola. O quasi. Resta il fatto che gli hanno dato la caccia sistemando trappole, sistemi d’allarme, vedette. Lui eviterà i «segugi», con scaltrezza e fortuna. Fino al 4 aprile 2013 quando lo beccano durante l’ennesima effrazione, in tasca ha 395 dollari. Porta un paio d’occhiali mezzi rotti, l’unico oggetto di sua proprietà. Sconterà sette mesi di prigione. Liberato, è tornato a vivere con la sua famiglia, lontano dal resto del mondo, quasi che fosse spaventato dal contatto umano. Al giornalista, che voleva scoprire cosa lo avesse convinto a mimetizzarsi tra le foreste del Maine, risponderà semplicemente: «Volevo perdermi».