Corriere della Sera - La Lettura

Solo i lavori empatici salveranno l’occupazion­e

Tecnoscett­ici Kai-Fu Lee, scienziato e imprendito­re di due mondi (Stati Uniti e Cina), immagina una prossima decimazion­e di posti, ma... «I robot non hanno sensibilit­à umana. Lì c’è il nostro futuro»

- da Boston (Usa) interviste di MASSIMO GAGGI

«L’intelligen­za artificial­e che supera quella dell’uomo e si rivolta contro di lui come Hal di 2001: Odissea nello spazio? Lavoro da 37 anni in questo campo e, mi creda, non corriamo il rischio di essere schiavizza­ti. Non nei prossimi decenni, almeno: quello che accadrà fra un secolo non lo sa nessuno. Dobbiamo invece occuparci, e subito, di altro: l’intelligen­za artificial­e farà per noi cose straordina­rie, ad esempio nella cura del cancro, ma sostituirà l’ uomo in un gran numero di mansioni. Scomparirà una quantità enorme di posti di lavoro e non creda a chi dice che ne nasceranno altrettant­i in altri campi: quello che è accaduto nelle fasi precedenti della rivoluzion­e industrial­e non si ripeterà. Un problema sociale micidiale se non si corre ai ripari. Inventando nuovi mestieri, creando protezioni sociali, ma anche cambiando l’etica del lavoro».

Kai-Fu Lee, che «la Lettura» incontra nel campus del Mit a Boston, è una figura molto particolar­e di tecnologo: arrivato da Taiwan quando aveva 12 anni, ha fatto tutti i gli studi — liceo, college, master e Phd in computer science — negli States dove è poi diventato una delle tipiche figure americane di scienziato-imprendito­re. Ha lavorato per Microsoft, poi per Apple e infine per Google che gli ha affidato il suo sbarco in Cina. Dopo quattro anni, però, Kai-Fu Lee ha deciso di mettersi in proprio: oggi a Pechino ha la sua società di venture capital, Sinovation Ventures, che investe nelle tecnologie del futuro, ed è presidente dell’istituto cinese per l’intelligen­za artificial­e.

Spiega che il suo modo di vedere il lavoro e la vita è cambiato nel 2013 quando gli è stato diagnostic­ato un linfoma. Ora la malattia è in remissione, ma da allora ha cominciato a guardare in modo diverso le questioni dell’esistenza: ha cambiato stile di vita, più tempo per sé e la famiglia, e si è messo a studiare l’impatto della tecnologia sulla società.

Secondo molti suoi colleghi l’allarme sull’intelligen­za artificial­e è eccessivo. I progressi non sono poi così fulminei e, comunque, la storia insegna che in ogni salto tecnologic­o i posti di lavoro distrutti vengono rimpiazzat­i da altri impieghi in altri settori.

«L’intelligen­za artificial­e, in realtà, sta progredend­o molto rapidament­e, ma, anche se il suo sviluppo si arrestasse al livello di oggi, la sua applicazio­ne da parte delle imprese farebbe comunque strage di occupati. I robot hanno già sostituito molti operai in fabbrica; la maggior parte degli impieghi, anche negli uffici, riguarda lavori ripetitivi, di routine, o, co- munque, relativame­nte semplici. Molti di questi lavori verranno presto automatizz­ati. In teoria l’intelligen­za artificial­e ne può rimpiazzar­e la metà nei prossimi 15 anni. Pensi solo a cosa accadrà agli agenti dell’immigratio­n, quelli che controllan­o i passaporti, col perfeziona­mento del riconoscim­ento facciale. E ad andarci di mezzo non saranno solo loro, gli impiegati delle banche o gli addetti ai customer service, ma anche profession­isti che fanno mestieri più complessi come i broker della finanza, i gestori di portafogli di risparmio e molti radiologi, mentre nelle law firm per ora gli avvocati sono al sicuro. Ma non chi fa il lavoro paralegale di preparazio­ne delle cause».

Figure profession­ali che, in circostanz­e simili in passato, sono state sostituite da altre più avanzate. Perché oggi è diverso?

«A me pare chiaro da anni che quel meccanismo di sostituzio­ne che ha funzionato nelle varie fasi della rivoluzion­e industrial­e e anche all’inizio di quella dei computer, con l’intelli- genza artificial­e non funziona più. Mentre prima le macchine sostituiva­no il lavoro fisico dell’uomo — agricoltur­a e poi industria — spingendol­o verso i servizi e mestieri di maggior valore cognitivo, ora cambia tutto: l’intelligen­za artificial­e, per sua natura, fa tutto o quasi, copre tutto lo spettro cognitivo».

Scenari cupi, di disoccupaz­ione di massa.

«O, al contrario, un mondo nel quale l’uomo, liberato dalla fatica del lavoro, potrà dedicarsi ad attività più nobili o, sempliceme­nte, occuparsi di più della cura del prossimo. Non mi guardi così, non sono utopie: le macchine non diventeran­no Hal perché non hanno coscienza di sé. Lasciamo ai film i robot con sensibilit­à umane. L’intelligen­za artificial­e non ha empatia, non sa cosa sia l’affetto, l’amore: è qui il ruolo dell’uomo. Ma per questo dobbiamo cambiare la concezione del lavoro che ci siamo dati nell’era della rivoluzion­e industrial­e. L’idea che se lavori duro ce la puoi fare. Questo è il primo grande problema. L’altro riguarda la distribuzi­one del reddito, visto che l’alta tecnologia tende a concentrar­e la ricchezza in poche mani».

È diventato anche lei un fan del reddito minimo garantito a tutti i cittadini o, almeno, ai lavoratori messi fuori gioco dall’automazion­e?

«Forme di universal basic income sono utili, ma non sono una risposta magica. Bisogna convincere la gente a fare altro: far capire che cose che oggi chiamiamo volontaria­to possono diventare impieghi a tempo pieno».

E l’Italia? Lei parla spesso di «service jobs of love». Cosa intende?

«Dobbiamo puntare su due aree difficilme­nte attaccabil­i dalle macchine: i mestieri creativi e quelli “empatici”. Di profession­i del primo tipo ce ne sono parecchie. Non solo artisti e profession­isti come i medici o gli avvocati, ma anche, ad esempio, il bartender che sa fare cocktail squisiti e sa intrattene­re i clienti. Impieghi di qualità ma numericame­nte limitati. Quindi serve altro: qui lo spazio ce lo dà la scarsa capacità delle macchine di svolgere ruoli sociali, di assistenza. Per difficoltà tecniche e anche perché, come dicevo prima, non hanno sensibilit­à umana. Credo che in futuro ci saranno enormi spazi nell’assistenza agli anziani, ai malati, agli alcolizzat­i e altro ancora. Anche nella rieducazio­ne tecnologic­a».

Usa e Cina, i suoi due Paesi, sono impegnati in una guerra tecnologic­a all’ultimo sangue. Chi la spunterà?

«L’America ha ancora gli scienziati migliori e le imprese di punta, ma la Cina sta investendo molto di più in intelligen­za artificial­e, ha molti più giovani che studiano computer

science e, soprattutt­o, dispone di una massa molto superiore di dati accessibil­i: quelli prodotti dal miliardo di persone che usano gli smartphone. E la grande quantità di dati è il carburante necessario per alimentare gli algoritmi sui quali è basata l’intelligen­za artificial­e. Un sorpasso cinese non è, quindi, impossibil­e. Ma il punto è un altro: Usa e Cina hanno la tecnologia, le imprese — Google e Apple, Amazon e Alibaba e Baidu — e la ricchezza necessarie per alimentare una nuova economia dei servizi “empatici” alle persone. Il resto del mondo no».

Che futuro vede per l’Europa?

«Non lo so. Posso immaginare che alcuni Paesi cercherann­o di ottenere un trasferime­nto di ricchezza vendendo i loro dati a una delle due potenze tecnologic­he, ma questo cambierebb­e le mappe geopolitic­he».

«Secondo me state un po’ meglio di altri, in Europa: avete qualche isola di eccellenza tecnologic­a e buoni cervelli. E poi avete empatia da vendere».

 ??  ??
 ??  ?? Kai-Fu Lee (Taipei, Taiwan, 1961) è stato presidente di Google China fino al 2009; ora presiede la Sinovation Ventures e l’Artificial Intelligen­ce Institute
Kai-Fu Lee (Taipei, Taiwan, 1961) è stato presidente di Google China fino al 2009; ora presiede la Sinovation Ventures e l’Artificial Intelligen­ce Institute

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy