Il ritorno dei Giant Sand per il festival «Mappe»
Howe Gelb inaugura «Mappe» a Palazzo Litta
È in linea con i dibattiti di questi giorni su confini e migranti la rassegna «Mappe. Geografie del contemporaneo». Da domani a sabato nelle sale di Palazzo Litta prenderà vita un programma multidisciplinare in bilico tra musica, cinema, installazioni e fotografia, con un focus ben preciso: il racconto di alcuni territori di confine al centro dell’attualità socio-politica. In primis, la zona tra Stati Uniti e Messico, cuore della giornata d’inaugurazione di domani, che sul fronte musicale vedrà protagonisti i Giant Sand, tra gli antesignani del cosiddetto «desert rock», la cui storia ha conosciuto vari cambi di line-up, rimanendo, però, legata al nome di Howe Gelb. Era stato quest’ultimo, nel 2016, ad annunciare lo scioglimento della band e invece rieccolo in tour per un’occasione speciale: la pubblicazione di una nuova versione dell’album d’esordio «Valley of Rain» (1985).
«Con i Giant Sand ho fatto così tante cose belle che a un certo punto ho pensato non ci fosse più bisogno di nuovi dischi», dice Gelb, classe 1956. «Ne sono tuttora convinto, ma mi è venuta voglia di registrare quel primo album come avrei voluto all’epoca della sua realizzazione, ossia con la strumentazione giusta e con tutta l’esperienza accumulata negli anni come produttore». Al Litta potremo, dunque, sentire dal vivo i brani di quell’opera tra southern rock, psichedelia e attitudine punk che a breve sarà riproposta con il titolo «Returns To Valley of Rain». Un tuffo nel passato, per Gelb. «Sono nato e cresciuto in Pennsylvania, ero un ragazzino e vivevo con mia mamma quando perdemmo la casa a causa di un’alluvione», racconta il songwriter. «Fu allora che mi trasferii a Tucson da mio padre, che nel frattempo si era risposato. Poteva essere un disastro, eppure la nuova vita si rivelò migliore della vecchia. E non lo avrei mai saputo senza quella tragedia. Da quel momento considero gli eventi negativi come un’occasione per combinare qualcosa di buono». «Valley of Rain» nacque anche grazie a un forte spirito d’iniziativa che nel 1981 lo aveva spinto a trasferirsi per un periodo nel Lower East Side, a New York, regno della scena musicale underground dell’epoca. Per il resto l’Arizona è rimasta la sua casa, dove oltre ai lavori dei Giant Sand sono nati i suoi tanti album solisti, inclusi gli ultimi dedicati al jazz. «In Europa avete un’immagine dell’Arizona legata alle musiche di Morricone e ai film western, il che è fuorviante», osserva Gelb. «Sto scrivendo la sceneggiatura di un film con cui vorrei mostrare l’autentica identità del West e la musica di cui quell’identità si alimentava: qualcosa di simile ai Sonic Youth con gli strumenti acustici. Una musica suonata con vecchi strumenti scalcagnati che producevano un rumore terribile, ma che rappresentava un’alternativa al silenzio dominante in quelle aree deserte».
Desert sound «Sto scrivendo un film per mostrare l’autentica identità del West e delle sue sonorità»