UNA REGIA VIRTUOSA PER I MUSEI
Adifferenza del suo iperattivo e iperpresente predecessore, Dario Franceschini, il neoministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli ha scelto di tenere un profilo basso nelle sue azioni. Per ora, di certo non appare un decisionista. Si sta muovendo con garbo, con understatement, quasi con circospezione, con prudenza (a tratti eccessiva), ponendosi in ascolto di istanze e di voci spesso lontane. Talvolta, con un rischio: risultare poco incisivo, con una visione ancora non ben delineata. A cento giorni dalla sua nomina, si ricordano pochi atti concreti, significativi. Mentre si ricordano alcuni «inciampi». Forse legati all’inesperienza politica del nuovo inquilino di via del Collegio Romano. Forse anche per il peso dell’eredità di chi lo aveva preceduto alla guida del Mibac, che aveva dietro di sé una lunga storia parlamentare e conosceva come pochi i segreti degli ambienti romani. Infine, forse per la difficoltà di Bonisoli nel riuscire a dare la dovuta centralità alle questioni della cultura e del patrimonio nel quadro delle scelte del governo Conte, che sembra molto poco sensibile a queste «urgenze», mentre preferisce indulgere nel rito degli annunci a oltranza. Dunque: dapprima, le contraddittorie prese di posizione sulle domeniche gratuite nei musei. Poi, la proposta — annunciata qualche giorno fa a Paolo Conti sulle colonne del Corriere della Sera — di ridurre a due euro la cifra dei biglietti dei musei per gli under 25: dimenticando, però, che da sempre l’ingresso dai 18 ai 25 anni è ridotto, mentre sotto i 18 anni è gratuito.
Infine, la decisione di elaborare un calendario mobile di aperture domenicali gratuite nei siti museali. Accade così che, ad esempio, a Milano, il direttore della Pinacoteca di Brera, James Bradburne, abbia lanciato una formula originale, per attirare giovanissimi e pensionati. Mentre il Comune di Milano ha confermato gli ingressi liberi per le prime domeniche di ogni mese. Pura anarchia. Perché autorizzare, legittimare e addirittura promuovere questa sorta di schizofrenia? È come se al «centralismo» franceschiniano Bonisoli avesse voluto rispondere con la riaffermazione delle «autonomie locali». Non sarebbe opportuno — chiediamo al ministro — uscire dal «dirigismo» di Franceschini evitando, però, il caos? Perché rifugiarsi in gesti troppo timidi e «pilateschi» e non assumersi la responsabilità di provvedimenti più coraggiosi e visionari? E ancora: non sarebbe possibile immaginare calendari definiti almeno a livello regionale, condivisi, chiari e comprensibili per tutti, provando anche a superare le tante e antiche conflittualità che separano siti nazionali e siti amministrati a livello locale? I rischi insiti in queste politiche dei beni culturali sono evidenti: la confusione e il disorientamento. E, inoltre, l’allontanamento e la disaffezione da parte del pubblico nei confronti delle nostre istituzioni museali. Perché non far partire da Milano un segnale alternativo? Ci piacerebbe che Brera, Palazzo Reale, la Triennale, il Mudec e il Pac, forti della loro identità, uscissero dal proprio «particulare», per iniziare a fare sistema, concordando gli stessi calendari e calibrando (anche) meglio le loro programmazioni. Se si riuscisse in questa impresa, Milano — anche nelle politiche di gestione dell’arte — potrebbe diventare un modello da esportare. Per rispondere alla deregulation che incombe sul futuro dei musei italiani.