«Villa Litta, delitto irrisolto per colpa delle telecamere»
I figli di Marilena: il Comune non controllò gli impianti
Ifigli di Marilena Negri, la 67enne uccisa nel 2017 a Villa Litta, rompono il silenzio. Lo fanno in coincidenza dell’imminente archiviazione delle indagini scrivendo al Giornale di Sondrio. Non è mai stato trovato l’uomo che armato di una lama uccise la loro mamma. I figli attaccano il Comune, perché le telecamere erano fuori uso; se funzionanti, avrebbero dato un enorme aiuto ai poliziotti. Errori, mancanze e colpe.
Se mai verrà risolto, verrà risolto un cold case. E l’imminenza della richiesta di archiviazione da parte della Procura sull’omicidio, alle 6.40 del 23 novembre 2017, nel parco di Villa Litta, ad Affori, di Marinela Negri, ha spinto i tre figli della 67enne, che ogni mattina presto passeggiava con il suo cane nel parco, a rompere un silenzio lungo quasi un anno e mezzo.
Attraverso una lettera inviata al Giornale di Sondrio, i figli, residenti proprio in Valtellina, hanno protestato non tanto contro le indagini, condotte dalla squadra Mobile, ma contro una grave mancanza, imputabile al Comune, e relativa al parziale funzionamento delle telecamere. Era stato pubblico, l’indomani, davanti a residenti e passanti che avevano considerato quella riparazione un’offesa alla vittima e in generale ai cittadini del quartiere, il lavoro dei tecnici che avevano corretto il riposizionamento di alcuni impianti, perché, scrivono i figli di Marilena, che abitava non lontano, anche le telecamere «a un metro da dove giaceva nostra madre, puntavano verso gli uccelli, sui tetti». Un giusto funzionamento avrebbe aiutato, e parecchio, gli investigatori, che hanno recuperato unicamente dei frame non nitidi, di un uomo in tuta da jogging, inutili a ricavare informazioni dirimenti sull’esecutore del delitto, che non è stato commesso da un uomo ucraino sul quale la polizia si era concentrata, salvo abbandonarlo in quanto estraneo. Ora, «se è pur vero che non c’è legge che impone al Comune di porre telecamere di sorveglianza, è anche vero che chi aveva in carico il servizio da offrire al cittadino doveva, quantomeno, controllarle e verificare il corretto funzionamento».
Del resto, «qualcuno, delle responsabilità ce le ha, poiché c’è un balordo ancora in giro, chissà dove, che potrebbe rovinare altre vite, altri sogni, altre famiglie. Il caso rimarrà insoluto ancora chissà per quanto tempo, quando, magari, con più precisione, attenzione e responsabilità, tutto il lavoro della polizia doveva essere evitato o facilitato». Si parla tanto e spesso a sproposito, del grande rafforzamento della sicurezza dei milanesi grazie a telecamere che sono ovunque e tutto vedono. Se l’utilità rimane indiscutibile, e ha permesso di risolvere altri delitti, i problemi agli stessi impianti sono frequenti. Scrivono ancora i figli: «Al di là della retorica, sarebbe il minimo che ogni viale, in ogni parco, in ogni piazza, dove ci sono telecamere, ne venisse verificato puntualmente il corretto funzionamento».
Marilena Negri era stata raggiunta da un ferale colpo di lama alla carotide. La squadra Mobile aveva da subito preso a battere il circuito degli sbandati che, soprattutto di notte, dormono nel parco di Affori. Forse quell’uomo non voleva assassinare la 67enne, ma «soltanto» derubarla della catenina: secondo questa ipotesi, avrebbe puntato quella lama alla gola, come minaccia, ma poi la lama è affondata nella carne, forse in conseguenza della reazione di Marinela oppure dello stato di alterazione dell’assassino, magari drogato. Non c’erano stati testimoni diretti, ma per appunto la densità di telecamere aveva innescato un immediato ottimismo fra chi, allora, dava la caccia all’omicida.