Le foto e i fiori al Campo 87 Quei 30 «anonimi per sbaglio»
Al Maggiore l’omaggio dei familiari alle salme «ignote». Il piano della Regione
sassi sono stati raccolti dalla terra nei dintorni e, allineati in un rettangolo, segnano il profilo della tomba più curata, dove accanto alla croce di plastica del Comune i parenti hanno messo una custodia in plexiglass per la foto, due vasi bianchi con piccoli mazzi di margherite, e poi altri due rametti di fiori, infilati nella ghiaia bianca e marrone con la quale è stata disegnata anche una piccola croce. È la tomba sistemata con più cura nel «campo 87», al cimitero Maggiore, lo spazio nel quale durante l’emergenza coronavirus sono state sepolte 128 vittime come salme «non reclamate» dalle famiglie: a vederlo oggi, si scopre che oltre alle quattro storie già raccontate dal Corriere, almeno una trentina di quei deceduti una famiglia ce l’aveva; figli, fratelli, sorelle e nipoti che da settimane vanno al «Musocco» e portano fiori e lumini, mettono qualche pianta e qualche vaso, dicono preghiere di fronte alle fotografie dei loro defunti, per strapparli almeno come effetto visivo e umano all’anonimato delle altre sepolture: allineate invece sotto la terra smossa e uniforme, una distesa interrotta solo da croci tutte uguali.
Entrambi questi aspetti del «campo 87» sono stati al centro di due riunioni nei giorni scorsi, la prima in prefettura e la seconda in Regione, al centro delle quali c’è stata, da una parte, la necessità di dare un aspetto più dignitoso alle sepolture, almeno con ceppi e lastre di marmo; dall’altra invece la necessità di una «revisione» delle procedure che per fretta, disguidi burocratici, o mancanza di comunicazione tra ospedali e Comune hanno portato al «campo 87» salme di persone per le quali i familiari avrebbero voluto una sepoltura non «d’ufficio».
Il Corriere nelle scorse settimane ha scoperto che le salme del professor L., dell’ex manager Gianni Fossati, della signora Maria Laratro e dell’ex dipendente Atm Vittorio Domeniconi, tutti morti a MilaI