La dura vita dei comici: il tribunale della barzelletta voluto da Adolf Hitler
LA FOTO CHE VEDETE qui in alto è uno dei punti di partenza dell’antologia Racconti da ridere che Marco Rossari ha curato con tocco felice. Nell’introduzione Rossari sottolinea che l’umorismo è resistenza al potere. Perciò Stalin non rideva mai. «Al massimo, come ricorda il maresciallo Žukov nelle sue memorie, lo faceva con un risolino sinistro, tra sé e sé». Hitler fece anche di peggio (come sempre nella sua scellerata gara con Stalin). Il dittatore tedesco istituì dei «tribunali della barzelletta». E quando fu il caso usò le maniere fortissime (la cosa non ci sorprende). Fece giustiziare, per esempio, un cabarettista di Berlino che aveva battezzato Adolf il suo cavallo. Non parliamo delle religioni. Rossari scrive che nella Bibbia non si ride granché. E anche gli altri libri sacri non fanno eccezione. Ma ora lasciamo perdere i discorsi in generale sull’umorismo (non senza aver prima citato, con il curatore, la frase geniale di Saul Steinberg: «Cercare di definire l’umorismo è una delle definizioni dell’umorismo»), e passiamo agli autori antologizzati nel libro. Il primo, e non poteva esserci scelta migliore, è l’impareggiabile P.G. Wodehouse. Citiamo almeno l’incipit del suo racconto: «Freddie Widgeon aveva per lungo tempo accarezzato l’idea di organizzare al Drones Club una lotteria abbinata a una gara a chi aveva lo zio più grasso». Molti ritengono (e penso abbiano ragione) che la vera comicità non sia quella che nasce dalle battute, dai
giochi di parole, ma quella che nasce dalla situazione in cui si vengono a trovare i protagonisti della storia comica. La situazione proposta da Wodehouse promette molto. E moltissimo mantiene, ma non aggiungo altro perché non voglio spoilerare. Tra i racconti proposti Rossari apprezza in particolare, quello di Irvine Welsh basato su uno dei meccanismi più classici ed efficaci della comicità: il rovesciamento. Welsh nella sua storia immagina che siano i vip a divorare avidamente i giornali che riportano gli amorazzi dei sottoproletari. Il curatore si lancia poi in un’affermazione spericolata: «David Sedaris è forse il più grande scrittore comico in circolazione». Saremo spericolati in due, ma ha perfettamente ragione. E lo conferma il racconto scelto, che ha per tema i mali del buonismo. Una menzione di merito va a W.C. Fields, un divo comico del cinema muto. Fields non è presente con un suo testo nell’antologia, ma gli tocca un onore maggiore. È citato per una sua famosa battuta in un racconto di Nora Ephron. La famosa battuta (in realtà sarebbe più giusta definirla un tormentone con botto finale a scoppio ritardato, come nei fuochi d’artificio), è ricordata in una nota di Delfina Vezzoli, traduttrice del racconto della Ephron. «Per tutta la vita», dice la nota, Fields «esternò il suo odio per Filadelfia e alla sua morte volle che sulla sua lapide fosse scritto: All considered, I’d rather be in Philadelfia (Tutto considerato, preferirei essere a Filadelfia)». Tra le parodie letterarie c’è l’ormai classica Nonita, dove Umberto Eco fa la parodia di Lolita di Nabokov, sostituendo, alla passione per le ninfette di Humbert Humbert, quella per le ottuagenarie. E dove, per tornare alla rubrica scorsa, si vede che Eco, gran sacerdote del comico nei saggi, sapeva, quando voleva, essere assolutamente non noioso (l’accusa che gli aveva rivolto Ken Follett).