LA PRIMA VITTIMA DEL GOVERNO È L’ASSE NASCENTE DI CENTRODESTRA
Il nuovo sistema Si profila una vittoria di Renzi che rende Palazzo Chigi il perno di un sistema tolemaico Con il timore di uno squilibrio
È istruttiva la dinamica che si sta aprendo nelle opposizioni. Lo scambio di accuse tra Lega, Movimento 5 Stelle e Forza Italia sul soccorso parlamentare al governo mostra un fronte avversario frantumato. E le lettereappello e le richieste di udienza al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, appaiono come una risorsa estrema ma quasi d’ufficio. La realtà è che dopo la ritirata della minoranza del Pd, i voti dei transfughi berlusconiani di Denis Verdini e quelli di un cospicuo manipolo di senatori di FI, i giochi sono finiti.
Matteo Renzi registra una vittoria perfino più netta del previsto. E diventa il perno di un sistema parlamentare quasi tolemaico. Gli unici partiti d’opposizione rimangono M5S e Carroccio; quello di Silvio Berlusconi mostra di esserlo a intermittenza, tanto da far parlare di una resurrezione del patto del Nazareno: l’accordo spezzatosi con l’elezione al Quirinale di Mattarella. L’effetto collaterale è di mandare in tilt l’asse FI-Lega, tra insulti feroci. La vittoria in Parlamento aspetta di essere confermata prima o poi nel Paese. Ma l’allarme dei leghisti e di ex ministri centristi sulla concentrazione del potere nelle mani del capo del governo, sono un segnale di paura.
Secondo gli avversari di Renzi, le riforme stanno spostando il baricentro istituzionale su Palazzo Chigi. Difficile contestarlo, ma la loro polemica riflette la frustrazione e lo stupore per la mancanza di ostacoli e di anticorpi che la strategia renziana sta incontrando. Rimane difficile, tuttavia, imputare tutto questo al premier. La «prepotenza della maggioranza» può affermarsi per gli errori degli avversari; e perché dentro FI e nello stesso Pd le identità sono da tempo gusci vuoti, che Renzi riempie col suo leaderismo e l’ideologia delle riforme.
Traspare l’imbarazzo nel modo in cui l’opposizione interna dei Democratici rinuncia alle sue richieste, fingendo che siano state accolte. È un atteggiamento che fa il paio con il «sì» di FI in appoggio alla maggioranza su un emendamento avversario. Il capogruppo al Senato, Paolo Romani, giura di avere preferito «la Carta costituzionale al tatticismo parlamentare». Ma il risultato è lo sgretolamento delle opposizioni, e il sospetto di intese sottobanco tra il premier e Berlusconi.
La Lega che esce dall’Aula e i grillini che non votano ma ci rimangono, confermano un fronte avversario in ordine sparso. Il capo del Carroccio, Matteo Salvini, addita «il metodo squallido» del governo. E finge di ignorare che i milioni di emendamenti di Roberto Calderoli sono apparsi così surreali da favorire il governo. E il Berlusconi fiducioso di «cambiare la legge elettorale con un premio di maggioranza non alla lista ma alla coalizione», si prepara a trattare col premier da posizioni di debolezza. È in affanno crescente anche il sindaco Pd di Roma, Ignazio Marino. E anche questo, a Renzi forse non dispiace poi tanto.