La fuga, l’ipocrisia, il senso di giustizia nel « romanzo sociale » di Simenon
Dalle convenzioni piccoloborghesi al rapporto uomo-donna, all’infanzia I grandi temi cari allo scrittore che voleva capire le ragioni dei crimini
ACastelvecchio, Giovanni Pascoli aveva tre scrivanie: poesia italiana, poesia latina, critica dantesca. Di tavoli da scrittura, Georges Simenon ne ha sempre avuto uno solo alla volta, e su quello ha intrecciato, dagli anni Trenta, i Maigret ai «non Maigret», in un’unità indivisibile di temi, scenari, personaggi. Cambiano le regole del gioco, non cambia lo stile del giocatore. Le inchieste sono brevi, contengono più dialoghi (in ragione degli interrogatori) e si concludono con la soluzione del caso (o con qualcosa che somiglia da lontano, dato che spesso verità umana e verità giudiziaria divergono). Ma le vittime, i sospetti, i testimoni, tutte le figure che non sono Maigret, sintetizzano la stessa umanità criminogena che abita nei romanzi. Se questi li percepiamo più «duri» è soltanto perché in essi, trascinati dai protagonisti oltre il limite (il «muro» di cui parla Charles, protagonista-narratore di Lettera al mio giudice), non possiamo più contare sul bonario poliziotto riparatore di destini. Esperienza sfiancante in primo luogo per l’autore, che perciò deve alternare i due registri, la fatica di un «romanzo-romanzo» e il ricostituente di un Maigret.
Tra gli uni e gli altri, spiega Simenon, «c’è la stessa differenza che esiste fra il dipinto di un pittore e il disegno che questi potrebbe fare per suo diletto o per studio». In un’altra occasione paragona le inchieste ai jingle che un musicista compone per divertirsi. E fare soldi, certo: perché i Maigret garantiscono un reddito costante, mentre i romanzi sono meno affidabili. Oltretutto bisogna andarci piano ad appiccicare l’etichetta di polizieschi ai Maigret. Nello schema del genere il commissario sta stretto. Se per uno specialista come Thomas Narcejac (che con Pierre Boileau forma una grandiosa coppia noir) Simenon non ha mai scritto un vero poliziesco, il massimo biografo dello scrittore belga, Pierre Assouline, parla di «romanzo sociale più che poliziesco». Come dire che — non diversamente da Balzac, Dostoevskij, Faulkner, Bernanos... — Simenon adatta la struttura del racconto a enigma alla sua personale ricerca dell’uomo.
Che i Maigret trasgrediscano le regole del giallo è fin troppo evidente: la suspence non è dominante, l’autore non gioca d’astuzia con il lettore e non si preoccupa dell’illogicità di certi passaggi, la meccanica dell’intreccio è secondaria. A Maigret non basta scoprire il colpevole, vuole capire perché quell’essere umano ha fatto quello che ha fatto. Per contro, c’è molto di poliziesco nei romanzi: omicidi, poliziotti, magistrati, processi. Sono polizieschi, a modo loro, La casa sul canale, La vedova Couderc, L’orologiaio di Everton, I complici, L’assassino, I fantasmi del cappellaio, Il grande male... L’80 per cento dei romanzi, è stato calcolato. In qualche caso ci s’imbatte in una specie di controfigura del commissario (il dottor Donadieu in 45 gradi all’ombra; l’avvocato Loursat ne Gli intrusi). Travasi, interferenze, contaminazioni. Che ci suggeriscono di piantarla con la snobistica distinzione tra Maigret e nonMaigret, parti anatomiche in cui circola lo stesso sangue.
Uomini soggiogati da figure femminili si trovano nella Lettera al mio giudice e nel Clan dei Mahé, come in Maigret e l’uomo del banco e nella Trappola di Maigret. La donna dei bassifondi a cui l’uomo apre il proprio cuore? Eccola nel Maigret Liberty Bar, dove il protagonista cerca scampo nell’anziana prostituta Jaja. Nome (con tutto il resto) che appare anche nel Viaggiatore del giorno dei morti. L’ipocrisia delle convenzioni sociali è tanto in Maigret va dal coroner quanto ne La morte di Belle. L’infetta mediocrità piccolo-borghese e la corrotta grandeur dell’alta società sono repertate nel Maigret di Un crimine in Olanda e in Maigret e la vecchia signora non meno che ne I Pitard e ne Il destino dei Malou. Il Presidente o Maigret e il ministro: vedi alla voce miseria della politica. La giustizia, il suo senso, la sua procedura: da Corte d’assise a Maigret in Corte d’assise, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Stesso discorso per i bambini, costante dell’opera di Simenon al pari di quella delle donne: «Tutti i miei romanzi sono fantasmi della mia infanzia».
Per non parlare del tema dei temi: la fuga. La collettività che popola l’anagrafe simenoniana è in lotta con il proprio destino. Il protagonista de La fuga del signor Monde evade dalla prigione di ghiaccio dell’agiata routine parigina per rifarsi una vita a Marsiglia, ricominciando tutto daccapo, da uomo che è poco più di un clochard (s’intravvede perfino la Marsiglia di Jean-Claude Izzo). Anche l’idealista Keller fugge: dalla famiglia, da Parigi, dalla professione di medico. Finché non viene massacrato di botte e gettato nella Senna... È il caso di Maigret e il barbone. Norbert Monde e François Keller: fratelli letterari, personaggi dall’identico codice genetico, tipi che si portano dentro la loro condizione di uomini «come altri si portano dentro una malattia senza saperlo».
Destino La collettività che popola i libri del maestro belga è in lotta con il proprio destino