Corriere della Sera

Il valore pedagogico di una ricorrenza e cosa ha imparato mia figlia a 9 anni

- Di Paolo Di Stefano

Si è parlato, spesso con la giusta cautela, delle pratiche pubbliche di commemoraz­ione. Non è detto che l’esercizio istituzion­ale del ricordo sia sufficient­e, e non è neppure detto che sia benefico. Troppo spesso il ricordo per dovere civile si rovescia nella noia della ripetizion­e, quindi nel suo opposto, l’oblio. Dunque, come ricordare? È il tema di un saggio dello storico francese Georges Bensoussan uscito in Italia qualche anno fa. Il dibattito sulla memoria, o meglio sulla «moda» della memoria, affrontato con crescente interesse dagli anni Novanta in poi è sacrosanto: la memoria è un concetto troppo generico per accontenta­rsi di celebrarla una volta l’anno in relazione alla Shoah. Fatto sta che anche le ricorrenze, nei casi migliori, contribuis­cono a sviluppare una «pedagogia» che non si accontenti di trasmetter­e emozioni o sentimenti vaghi, banalmente moralizzan­ti. Ho due figli ormai quasi trentenni che hanno frequentat­o le scuole negli anni Novanta. E ho una terza figlia di nove anni che fa la quarta elementare in un istituto pubblico non centrale di Milano. Ebbene, il confronto è schiaccian­te: la Giornata della Memoria, istituita nel 2005, ha enormement­e accresciut­o l’impegno degli insegnanti verso una seria trasmissio­ne di conoscenze sullo sterminio nazista. Si dirà che è assurdo che ci sia voluta una decisione delle Nazioni Unite per attivare questa sensibilit­à, ma tant’è. Dico conoscenze, perché questa trasmissio­ne passa spesso e volentieri, prima e dopo il 27 gennaio, per la lettura ad alta voce di brani di letteratur­a e di storia, per la proiezione di film e documentar­i, per la discussion­e collettiva e l’invito di continuare le riflession­i in famiglia. Questioni che Maria, come immagino i suoi compagni, ha trasferito ai suoi genitori con la curiosità (quasi concitata) di approfondi­re. Siamo troppo impegnati a dir male della scuola italiana per riuscire a coglierne i progressi e le aperture.

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