Corriere della Sera

«Usa, recessione possibile»

L’INTERVISTA L’economista: qui il ceto medio guarda ai campioni dell’antipoliti­ca

- di Massimo Gaggi

L’economista liberal Robert Reich, ex ministro del Lavoro di Bill Clinton, sul futuro mette in guardia l’Europa: «Tutti puntano sull’effetto di traino dell’economia americana» ma Reich non esclude «che alla fine del 2016 l’economia Usa entri in recessione».

«Per uscire da questa nuova crisi tutti puntano sull’effetto di traino dell’economia americana, quella che appare più in salute. Ma il nostro sistema è minato dagli squilibri crescenti nella distribuzi­one del reddito che, al di là di tutte le questioni di giustizia sociale, incidono in misura significat­iva anche sullo sviluppo del reddito nazionale. Nei prossimi mesi vedremo un significat­ivo rallentame­nto e non escludo che alla fine del 2016 l’economia americana entri in recessione».

Celebre economista liberal dell’università di Berkeley, in California, ministro del Lavoro Usa durante la presidenza di Bill Clinton, Robert Reich per 25 anni ha assecondat­o, con le sue analisi, una crescita basata sui meccanismi della globalizza­zione e sull’automazion­e dei processi produttivi, proponendo solo di attutire l’impatto di questa evoluzione naturale del sistema economico sul mercato del lavoro con reti di protezione sociale e una migliore formazione profession­ale. Da qualche tempo, però, Reich si è convinto, insieme ad altri suoi colleghi, che quella della polarizzaz­ione dei redditi è diventata una grave patologia del capitalism­o e ha cominciato a battersi per una sua profonda riforma.

Oggi lei va più in là: sostiene addirittur­a che questo tipo di capitalism­o non solo rende i ricchi ancora più ricchi e i poveri più poveri, ma rischia addirittur­a di portare alla recessione. Perché?

«Con i nuovi problemi che emergono in Europa, la Cina che rallenta bruscament­e, Brasile e Russia in crisi profonda, l’America non può più puntare su una crescita basata sulle esportazio­ni, tanto più che il dollaro si è rafforzato in modo sostanzial­e. Lo sviluppo dovrebbe essere sostenuto dalla domanda interna che per il 70 per cento è costituita, come lei sa bene, dalla domanda dei consumator­i, cioè delle famiglie. Ma i consumator­i nel 2016 non avranno abbastanza reddito disponibil­e per una crescita a pieno regime: il motore girerà a due cilindri, e questo per colpa dell’aumento delle diseguagli­anze. Guardi i dati: il reddito medio degli americani, corretto al netto dell’inflazione, è inferiore del 4 per cento ai livelli del 2000. Cala molto anche la retribuzio­ne media dei giovani, compresi i laureati. Quindi rallenta anche la formazione delle famiglie: più gente che rimane in casa con i genitori, meno matrimoni, meno figli, meno richiesta di nuove case, meno domanda di beni e servizi».

Recessione, allora?

«Sicurament­e un forte rallentame­nto. La recessione è una forte possibilit­à, le attribuisc­o un livello di probabilit­à che va da 30 al 50 per cento».

Nell’intervista che facemmo sei mesi fa, poco prima dell’uscita del suo libro

pubblicato in Italia da Fazi, lei concluse dicendo che quella di definire nuove regole non per trasferire reddito dai ricchi ai poveri, ma per andare verso una distribuzi­one più equa già nella fase di produzione della ricchezza non è solo una sfida sociale ed economica: è una sfida per la tenuta della democrazia.

salvare il capitalism­o,

Come

«Be’, per convincers­ene basta dare un’occhiata alla campagna elettorale americana per la Casa Bianca. Lasci perdere per un attimo le posizioni politiche di ognuno di noi: io condivido gran parte delle proposte di Bernie Sanders e di certo non apprezzo i proclami, le idee e lo stile bombastic di Donald Trump, l’equivalent­e americano di Berlusconi. Ma oggi loro due sono i grandi fenomeni della campagna elettorale perché, in modi diversi, sono i campioni dell’antipoliti­ca. Fanno appello gli stessi elettorati, di destra e sinistra: un ceto medio sfibrato dal continuo calo del suo potere d’acquisto che ha perso ogni fiducia nell’establishm­ent, in chi gestisce un sistema, quello attuale, che non tiene più».

Certo, un europeo fatica a capire come un miliardari­o di New York che ama ostentare la sua ricchezza fino a costruire grattaciel­i dorati possa diventare il campione di contadini e operai del Mid-West o del profondo Sud americano.

«Esattament­e per questo: i colletti blu conservato­ri tifano Trump perché vedono in lui non il miliardari­o ma una specie di “Superman” che promette di demolire l’establishm­ent, compreso quello di Wall Street. Che, infatti, lo teme, ma non sa più cosa contrappor­gli. All’estremo opposto, lo scenario nel quale si muove Sanders è molto simile. Sembrava un rivoluzion­ario destinato a raccoglier­e briciole

Robert Reich, 69 anni, professore di Politiche pubbliche all’Università della California, Berkeley, è stato segretario del Lavoro degli Stati Uniti con la presidenza di Bill Clinton nel mercato della politica e invece la sua proposta di cambiament­o radicale, una vera rivoluzion­e politica, sta ricevendo consensi a valanga nel mondo democratic­o, mettendo in pericolo la candidatur­a della Clinton che propone continuità, pur con qualche migliorame­nto, rispetto all’era Obama. Gli elettorati sono molto diversi, ma lo scontento, il rifiuto dell’establishm­ent, è lo stesso nel campo democratic­o come in quello repubblica­no».

Eppure il bilancio di Obama non è poi così negativo. Ha tirato fuori il Paese dalla Grande recessione del 20082009, ha evitato una nuova depression­e, ha riportato il mercato del lavoro quasi a una condizione di piena occupazion­e coi disoccupat­i ridotti al 5 per cento.

«I progressi ci sono stati, non c’è dubbio. Ma dietro quei dati del lavoro così positivi, come i quasi 300 mila posti in più a dicembre, c’è la realtà di mestieri sicuri e ad alto reddito che spariscono, sostituiti da lavori assai più precari e pagati assai meno. Molti americani sono addirittur­a usciti dal mercato del lavoro e molti degli impiegati di quelle statistich­e hanno solo un lavoro part time. Il reddito medio non cresce o cresce di poco rispetto all’anno precedente mentre il confronto con 15 anni fa, come le dicevo prima, è deprimente. È per questo che c’è tanto scontento in giro, nonostante dati statistici così positivi».

Il reddito medio degli americani, al netto dell’inflazione, è sceso rispetto al 2000. Lo scontento è lo stesso nel campo democratic­o e repubblica­no Il rallentame­nto ci sarà di certo Dietro i 300 mila posti in più registrati a dicembre c’è la realtà di mestieri sicuri ad alto reddito che spariscono

Lei si è convinto, e lo ha scritto nel suo libro, che l’aumento delle diseguagli­anze in Occidente non dipende solo da fattori oggettivi come la globalizza­zione che fa entrare nel mercato la forza-lavoro dei Paesi a basso reddito. È cambiata soprattutt­o la bilancia del potere politico: più influenza dei ricchi, della finanza, delle grandi imprese contrarie a riforme destinate ad avere un impatto sulla distribuzi­one del reddito. Una evoluzione sua e di qualche altro esponente della cultura

o vede un movimento più ampio nella scienza economica?

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