L’Erasmus dei laureati che ci premia Il successo in Europa dei giovani italiani: la metà di chi parte viene poi assunto «Sono ben preparati dai nostri licei»
Né choosy, né in fuga. I ragazzi italiani che si sistemano all’estero sono semplicemente bravi. I 70 mila laureati che ogni anno partono in cerca di condizioni migliori, di paga o di vita, sanno farsi valere e con poco sforzo si conquistano la stima dei datori di lavoro (e una carriera). La conferma in un’analisi della Commissione europea sull’impatto di «Erasmus+», ultimo nato e molto amato tra i programmi per la mobilità che, erede dello storico Erasmus (nato per agevolare esperienze di studio all’estero durante gli anni dell’università), consente scambi ed esperienze di lavoro, generalmente della durata di sei mesi, a giovani lavoratori, volontari, insegnanti.
Un programma che sembra far bene soprattutto agli italiani: 6 mila quelli impegnati in attività di tirocinio, secondi solo ai turchi per numero di candidature presentate. Il focus della Ue sottolinea che per i giovani del Sud dell’Europa si riducono i tempi di disoccupazione e che gli italiani sono quelli con gli esiti migliori: dopo il tirocinio, il 51% riceve un’offerta di lavoro dall’impresa che l’ha ospitato. La media europea è del 30%.
Dati che il direttore dell’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire, Flaminio Galli, commenta Su corriere.it Tutti gli approfondimenti sui temi della scuola e dell’università sono online su corriere.it/ scuola/ Radio Francesca Spanò (foto Marco Alf) in chiave politica: «Viviamo un momento storico in cui torna la tentazione di alzare frontiere e steccati, mentre la mobilità degli studenti e dei docenti rafforza l’identità comune europea, migliora la preparazione individuale e favorisce l’occupazione».
Ivano Dionigi, ex rettore dell’Alma Mater di Bologna e da ottobre presidente di Almalaurea, li legge come conferma di un fenomeno tutto italiano: un flusso netto di capitale umano altamente qualificato, fortemente sbilanciato in una sola direzione. Lo scambio non è più scambio, insomma, ma drenaggio. «Una perdita secca di risorse umane per il Paese», dice. Fuga, appunto, non interazione, come invece sarebbe nelle intenzioni della Ue. «Che i nostri ragazzi siano apprezzati e si facciano valere mi allieta, non mi sorprende e mi fa arrabbiare — dice — perché il Paese è maledettamente noncurante di loro».
Il tasso di disoccupazione a 12 mesi dalla laurea
2%
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