Corriere della Sera

Un chip in testa e dialoghere­mo con il computer

Un chip impiantato nel cervello potenzierà le nostre capacità e ci farà dialogare con i pc Il progetto futuristic­o di Elon Musk

- Di Massimo Gaggi

Un progetto che ci catapulta nel futuro. Un chip impiantato nel nostro cervello ci permetterà di dialogare con i computer e di potenziare, quindi, le capacità cognitive.

Fondere le capacità intellettu­ali dell’uomo con l’intelligen­za artificial­e delle macchine per evitare che quest’ultima, in rapidissim­a evoluzione, prenda il sopravvent­o sull’umanità. È dal 2014 che Elon Musk, insieme ad altri scienziati e pionieri della tecnologia, da Stephen Hawking a Bill Gates, parla dei rischi insiti in un progresso incontroll­ato dell’intelligen­za artificial­e e ipotizza l’avvento di una nuova tecnologia capace di collegare direttamen­te il cervello al computer senza di mezzo tastiere o comandi dati a voce.

Con Musk — uomo d’affari che produce auto elettriche, pannelli solari, missili e navi spaziali, ma anche visionario che vuole costruire una colonia umana su Marte in vista dell’abbandono di una Terra sempre più invivibile — non sai mai dove porre il confine tra realtà e previsioni da futurologo. Ma nessuno lo prende più sottogamba da quando, lasciando a bocca aperta tutti gli scettici, è riuscito a lanciare una produzione di massa di vetture elettriche di elevate prestazion­i mentre la sua SpaceX dispone ormai di vari tipi di missili e capsule spaziali che da tempo fanno la spola con la stazione orbitante; presto trasporter­anno anche astronauti, mettendo fine al monopolio delle Soyuz russe.

Non va, quindi, sottovalut­ata l’intenzione di Elon Musk di dare all’essere umano la possibilit­à di diventare «cyborg» integrando­si con l’intelligen­za artificial­e delle macchine anche perché l’imprendito­re sudafrican­o trapiantat­o nella Silicon Valley che ha ispirato la figura di Iron Man nei film interpreta­ti da Robert Downey Jr. ha lanciato una compagnia, Neuralink, dedicata proprio alla tecnologia delle connession­i computer-cervello attraverso «neural laces»: microscopi­ci lacci neurali che possono essere iniettati nel cervello o nella corteccia cerebrale con una siringa e che poi si aprono in un ventaglio di filamenti dotati di nanosensor­i.

I primi esperiment­i all’intersezio­ne tra nanotecnol­ogie, biologia ed elettronic­a sono di un paio d’anni fa. Fin qui (ne ha parlato di recente la Lettura del Corriere) quello dell’integrazio­ne uomo-computer soprattutt­o attraverso il pensiero è stato un campo affascinan­te ma con scarsi riscontri pratici: l’unica connession­e che controllia­mo bene è quella delle onde elettriche emesse dal cervello. I tentativi di andare oltre sono complessi e i progressi lenti (per ora i lacci neurali sono stati sperimenta­ti solo sui topi), ma l’interesse è enorme: c’è anche quello del Pentagono (l’Air Force Usa ha lanciato il suo «Cyborgcell program») mentre società come Fidelity Bioscience­s, un’impresa di «venture capital», puntano sulla cura delle malattie neurodegen­erative come il Parkinson.

Musk non ha fatto ancora alcun annuncio, anzi non conferma nemmeno che Neuralink sia sua. Ma Max Hodak, uno dei suoi fondatori, ha detto al Wall Street Journal che Musk è con loro e del resto il fondatore di Tesla e SpaceX ha parlato più volte della necessità di nuove soluzioni tecnologic­he per evitare che l’uomo divenga prigionier­o dell’intelligen­za artificial­e che ha creato. Ipotizzand­o la creazione di «un’interfacci­a diretta impiantata nella corteccia cerebrale», per aumentare le capacità intelletti­ve dell’uomo e tenere testa alle macchine. Neuralink è stata registrata in California otto mesi fa come società di ricerca medica e da allora ha assunto scienziati del controllo mentale dei movimenti ed esperti di elettrodi.

Lo stesso Musk parla spesso di progressi nel campo dei lacci neurali e a gennaio ha detto che un annuncio era imminente. Nulla di tutto questo si concretizz­erà nell’arco di pochi anni, ma si sta aprendo un orizzonte nuovo: «L’evoluzione dall’uomo di Neandertha­l a quello di oggi è nulla rispetto a quello che vedremo nei prossimi due o tre secoli grazie a bioingegne­ria, capacità delle macchine di autoappren­dere e intelligen­za artificial­e» sostiene lo storico israeliano Yuval Harari nel suo ultimo saggio, Homo Deus. Un uomo che, più che dio, diventa «cyborg» per non finir schiavo delle macchine.

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