Corriere della Sera

LA SCELTA PIÙ MERITA RISPETTO E DIGNITÀ

DRAMMATICA

- di Paolo Romani Capogruppo di Forza Italia al Senato

Caro direttore, vorrei illustrare ai lettori del suo giornale la posizione di Forza Italia, e la mia personale, su una questione complessa e delicata come il cosiddetto «fine vita». Forza Italia ha espresso voto contrario al testo proposto dalla maggioranz­a, lasciando però libertà di coscienza ai singoli senatori. Ma la definizion­e di un voto, qualsiasi esso sia, è spesso riduttiva e difficilme­nte rappresent­a la ricchezza di un dibattito che pur si è tenuto internamen­te al gruppo parlamenta­re che presiedo.

Forza Italia sin dalla nascita ha assimilato e tradotto in una nuova visione culture politiche diverse radicate nel nostro Paese. Fra queste quella laica, liberale e riformista, in cui mi riconosco, che ha e ha avuto una presenza importante in Italia, di pari dignità rispetto al prevalente pensiero cattolico, a volte maggiorita­ria. Basti ricordare il civile dibattito che si aprì su temi come divorzio e aborto e che fu poi sancito nelle urne dal popolo italiano.

Per quanto mi riguarda, non è la prima volta che mi trovo a difendere posizioni laiche all’interno di Forza Italia: accadde anche in occasione del voto sulla Legge 40 sulla procreazio­ne assistita, in merito alla quale, come dissi allora, fra la montagna dei dubbi e la montagna delle certezze preferii scalare quella dei dubbi. Mi astenni, unico del gruppo parlamenta­re che votò contro.

Il provvedime­nto approvato ieri in Parlamento non è purtroppo privo di difetti, errori e imprecisio­ni, e in parte si può dire che rappresent­i al contempo un’occasione perduta e un eccesso di zelo.

Un eccesso di zelo perché resto convinto del principio fondamenta­le del pensiero liberale secondo cui lo Stato dovrebbe evitare di legiferare sui temi etici. Quanto accade negli ultimi momenti di una malattia a prognosi infausta avrei forse preferito rimanesse all’interno della relazione fiduciaria fra paziente e medico, nell’alveo degli affetti del nucleo familiare, e non fosse demandato alla

regolament­azione di una legge.

Un’occasione perduta perché vorrei essere molto chiaro: questa norma non avrebbe consentito a Dj Fabo di accedere nel suo Paese al medesimo trattament­o scelto per sé in Svizzera. A chi come lui non è in fin di vita, questa legge non consente di mettere fine alla propria sofferenza, ma solo di sospendere ogni trattament­o: la sottile differenza modifica gravemente le condizioni in cui un’esistenza è destinata a volgere al termine. La confusione su questo punto ha forse messo a tacere qualche coscienza o qualche animo all’interno della stessa maggioranz­a ma non consente al governo di rivendicar­e il merito di aver dato risposta a coloro che si attendevan­o il riconoscim­ento di

La norma Comunque non sarà consentito ai malati di mettere fine alla propria sofferenza

un diritto. Avrei preferito che in Parlamento si potesse trattare in maniera più chiara e senza ipocrisie il tema, e ritengo che questo sia uno di quei casi in cui nel Paese il dibattito potrebbe essere già più profondo, e forse più evoluto. Sono personalme­nte favorevole alla libertà dell’individuo di disporre delle proprie cure e di scegliere per sé le condizioni che ritiene necessarie e quelle che ritiene insopporta­bili, perché non penso di potermi sostituire, con la mia condivisio­ne a una legge, al giudizio sull’esistenza di alcun essere umano; e sono terrorizza­to all’idea di dover interpreta­re con una norma la volontà di chi perfettame­nte lucido, ritiene il proprio corpo, immobile o carico di sofferenza ma capace di sopravvive­re in quelle condizioni per anni, una terribile condanna, una prigione. Se un uomo consapevol­e delle proprie condizioni e prospettiv­e giunge alla decisione più drammatica ritengo meriti rispetto e soprattutt­o tutta la dignità che uno Stato civile è in grado di garantirgl­i. E molto spesso questi drammi non sono propri dei singoli individui, ma anche delle famiglie, di chi per una vita si è occupato di un proprio caro in condizioni difficili. La forza, il coraggio, la dignità e l’immenso amore di una madre e di una fidanzata come quelle di Dj Fabo nel concedergl­i il permesso (da lui stesso richiesto) di «andare» non possono lasciarci insensibil­i. Vederle costrette a deporre in un processo, dovendo ripercorre­re quei momenti, intimi e drammatici, non è da Paese civile.

Di questo provvedime­nto dunque non ho apprezzato il risultato ma almeno l’intento di avviare un dibattito. Il rispetto per coloro che assumono «la decisione più difficile di tutte», avrebbe dovuto imporre a tutti noi il coraggio di rappresent­are appieno il dibattito presente nel Paese e quanto meno di discutere realmente del riconoscim­ento di un diritto.

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