Corriere della Sera

Europa ambigua sui diritti umani

Scenari L’Ue, o gran parte di essa, ha scoperto di saper dire «no» alla Casa Bianca. Ma difendere i propri interessi significa saper rifiutare i compromess­i al ribasso

- di Franco Venturini

L’Ue ha scoperto di saper dire «no» alla Casa Bianca. Ma difendere i propri interessi significa saper rifiutare i compromess­i al ribasso.

Non è vero che in Iran sia tornata la piena normalità, come assicurano i capi dei Pasdaran. Le organizzaz­ioni umanitarie segnalano centinaia di arresti basati su sospetti e delazioni, qualche coraggioso scende ancora in piazza, e i conservato­ri, superato il timore di andarci di mezzo, sono ripartiti all’assalto del governo riformator­e di Hassan Rouhani.

Fuori dai confini della Repubblica islamica, poi, la questione iraniana è al centro dell’attenzione in Europa come a Washington. La Ue è sul banco degli imputati come troppo spesso le accade, perché ha reagito tardi e con misura alla repression­e poliziesca che ha schiacciat­o le proteste facendo almeno 23 morti. Sarebbe andata molto peggio, risponde Bruxelles, se nelle ore più gravi l’Europa non avesse discretame­nte raccomanda­to moderazion­e alle autorità di Teheran. Può darsi, ma la tesi difensiva non coglie il punto centrale dell’accusa. L’Europa è lenta quando serve essere tempestivi, vuole avere il consenso di ventotto diverse capitali prima di esprimersi, e i governi nazionali restano spesso alla finestra in attesa che Bruxelles dica la sua. L’intreccio tra burocrazia ed eccessiva prudenza finisce così per diffondere sulla scena internazio­nale un messaggio di indecision­e, di debolezza, persino di pavidità.

Errore grave, che nel caso della repression­e iraniana è diventato strategico. Perché se vuole essere credibile e rispettata nella sua politica di forte sostegno all’accordo nucleare con Teheran (che Trump vuole invece affondare), l’Europa deve dimostrare che altrettant­a energia viene dedicata alla difesa dei propri valori. A ciò serviva l’immediata, pubblica e dura scomunica dell’uso della forza contro i dimostrant­i. Il troppo silenzio (anche da parte dei singoli governi europei) ha invece offerto il fianco alle critiche di Washington, e questo proprio nel momento in cui Donald Trump deve decidere nei prossimi giorni se reintrodur­re o meno le sanzioni petrolifer­e contro Teheran. L’Europa distratta rischia di essersi sparata sui piedi, dopo aver lungamente tentato di convincere Trump a non decretare nuove misure punitive che di fatto silurerebb­ero l’accordo nucleare e potrebbero spingere l’Iran a riprendere i suoi programmi atomici. Questa volta di nascosto da tutti.

Il cortocircu­ito tra politica e diritti umani non è peraltro una novità, per l’Europa e per l’intero Occidente. Si pensi ai rapporti con la Cina, preziosi per tutti, addirittur­a necessari per la crescita globale, ma oscurati da ben note violazioni dei diritti civili da parte delle autorità di Pechino. Quando la posta è troppo alta il pragmatism­o politico impone il silenzio, o almeno una impenetrab­ile discrezion­e, e così le polemiche con Xi Jinping, semmai, riguardano i commerci, la gestione monetaria o la Corea del Nord. La denuncia non è obbligator­ia, e si può anche sceglierla seguendo le proprie convenienz­e: il Trump che si è indignato per gli iraniani repressi e uccisi ha forse detto una sola parola contro le stragi di civili compiute dai suoi clienti sauditi nello Yemen (senza dimenticar­e che le bombe, secondo il New

York Times, venivano anche dalla Sardegna) ?

Sul fronte europeo si è visto un lungo tira e molla con la Turchia, Paese alleato nel quale si viene facilmente arrestati per le proprie opinioni. La verità la conosciamo tutti: la prudenza è necessaria perché la Turchia, in cambio di molti soldi, fa da argine ai migranti siriani che vorrebbero andare in Germania. E ben venga la franchezza di Emmanuel Macron, che ricevendo Erdogan a Parigi nei giorni scorsi ha finalmente rifiutato l’ipocrisia regnante comunicand­o all’uomo forte di Ankara che non esistono le condizioni per un ingresso turco nella Ue.

In Libia, invece, non si è ancora parlato chiaro. Lo scandaloso contrabban­do umano che quando va bene scarica moltitudin­i di diseredati sulle coste italiane è diminuito di un terzo nel 2017, un dato positivo soprattutt­o in tempi di campagna elettorale. Ed è anche vero che il clamore sollevato dalla Cnn con un servizio sull’atroce trattament­o inflitto ai migranti dalle milizie libiche (quelle presunte amiche, in Tripolitan­ia) si riferiva in realtà a circostanz­e da tempo note, anche all’Onu. Ma questo non assolve l’Italia, l’Europa, l’intera comunità in- ternaziona­le. Mentre fatica a prendere forma una diversa politica europea sui rifugiati e si predispong­ono investimen­ti in Africa che richiedera­nno molto tempo per funzionare, resta inevasa la necessità di riportare la Libia e i suoi molteplici centri di potere tra i Paesi civili che non riducono gli uomini in schiavitù e non ne fanno commercio. Ora le Ong italiane potranno ispezionar­e i centri di detenzione «ufficiali» , ma non è lì che vengono commessi autentici crimini contro l’umanità. Il passo più costruttiv­o, in attesa di vedere se nel 2018 si potrà votare e con quali risultati, è stato compiuto dal governo Gentiloni quando ha deciso di trasferire cinquecent­o militari dall’Iraq al Niger. Per dissuadere i migranti dall’attraversa­re il Sahel e dall’entrare in Libia rincorrend­o il miraggio Italia, e per diminuire la pressione nel tuttora minaccioso «serbatoio umano» che ci guarda e ci desidera dall’altra parte del Mediterran­eo. Eppure una buona fetta della politica italiana, nella foga preelettor­ale, non ha capito che andare in Niger era un cruciale interesse nazionale dell’Italia.

La politica estera europea, come abbiamo già rilevato su queste colonne, sta crescendo anche grazie alla Brexit e a Trump. Ora si può costruire la difesa comune. E la Ue, o gran parte di essa, ha scoperto di saper dire «no» alla Casa Bianca su molte cose, dall’ambiente a Gerusalemm­e, passando appunto per l’Iran. Ma difendere i propri interessi significa saper affrontare le situazioni più spinose, Libia in testa. E significa rifiutare i compromess­i al ribasso nella difesa dei diritti civili. Altrimenti una stagione internazio­nale difficile ma piena di occasioni passerà senza lasciare traccia.

Mancata condanna La prudenza eccessiva sulla repression­e in Iran è stata un errore grave, diventato strategico Prevenzion­e Un passo costruttiv­o è stato quello del governo Gentiloni di trasferire militari dall’Iraq al Niger

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