I «Nidi di ragno» erano un bebè Così Calvino festeggiò il «parto»
Esposta (e in vendita) una lettera del 1946 destinata all’amico Silvio Micheli (con qualche refuso d’autore)
«C aro Silvio, è un bel po’ che non ci scriviamo, non per colpa mia o tua. Si vede che stiamo sgobbando tutti e due…». Italo Calvino ha appena compiuto 23 anni, ha già pubblicato su quotidiani e periodici i racconti che nel 1949 confluiranno nel volume Ultimo viene il corvo, collabora per «l’unità», ha da poco cominciato a «sgobbare» in casa editrice Einaudi e per questo, come scrive in quei mesi all’amico Eugenio Scalfari, vive «in una gelida soffitta torinese». È sua la piccola grafia regolare distesa su quattro pagine ingiallite che contengono una lettera inedita datata Sanremo 23 dicembre 1946 e destinata all’amico Silvio Micheli, scrittore viareggino (1911-1990), pittore, fondatore della rivista «Darsena nuova», in cui firmano Pavese, Moravia, Pratolini. Lettera messa in vendita dalla Libreria antiquaria Pontremoli di Milano, proveniente da un collezionista privato e non inclusa nella raccolta epistolare dei Meridiani Mondadori curata da Luca Baranelli.
Un documento tutt’altro che ordinario, in cui Calvino annuncia con un certo giovanile entusiasmo e con molta autoironia di aver concluso la sera prima il suo primo romanzo: «Già: perché esiste anche un Sentiero dei nidi di ragno, giovane e paffuto romanzo dato alla luce dopo quindici giorni di indefesso travaglio e una più lunga gravidanza cerebrale». Ne segnala la consistenza senza nascondere giocosamente i sogni di gloria e insistendo nella metafora del parto: «Pesa centocinquanta pagine e da grande ha deciso che farà il premio Mondadori, o il premio Viareggio o il premio Vendemmia. La puerpera — io — sta bene e allatta». Sulla pagina conclusiva, Calvino, la cui precoce vena di disegnatore umoristico è ben nota, mette in scena una comica cerimonia di consegna dei premi in una vignetta intitolata Il Natale dei narratori: Babbo Natale elargisce sacchetti pieni di denaro a tanti scrittori pronti a raccoglierli. Tra questi si riconoscono Pavese insignito del Viareggio, Micheli (autore del romanzo Pane duro) che tende le mani verso il Nobel, Natalia Ginzburg con pistola in mano protesa verso il Premio Vendemmia; infine lo stesso Calvino, con un ragnetto che gli penzola dal braccio, esultante per un «Premio Purchessia».
Calvino ironizza su come dalla sua «congenita stitichezza narrativa» il romanzo sia potuto uscire tanto rapidamente, un’impresa che avrebbe considerato «fisiologicamente impossibile»: «I bene informati dicono che non è stato furore d’ispirazione a spingermi a tanto, ma bramosia di premio Mondadori che scade il 31 dicembre». Il Sentiero, precisa, «è un romanzo che corre, con personaggi vivi che mi hanno dato molte soddisfazioni perché si muovevano da se [sic] e io non avevo che a lasciarli fare e a scrivere quel che facevano». Aggiunge che il libro «è ancora d’ambiente partigiano: ma visto da un punto di vista nuovo, al massimo antiretorico, anzi politicamente piuttosto scabroso. Si svolge in massima parte in un distaccamento cui vengono assegnati gli elementi indesiderabili: è il fenomeno della resistenza studiato nel sottoproletariato, nel proletariato senza coscienza di classe,
dove non esistono ancora ragioni patriottiche o sociali, ma solo una confusa spinta e un riscatto umano».
È stupefacente come il giovane Calvino, alla sua tenera età, abbia piena coscienza anche politica, oltre che letteraria, dell’opera appena conclusa. «Il tutto attraverso l’esperienza d’un bambino, animo insieme morboso e candido, affascinato da un mondo di furore sessuale e sanguinario, e insieme assetato di purezza». Calvino lo presenta all’amico come un romanzo con «pagine avventurose e incantate, da storia per bambini, e pagine esasperate e torbide»: una via di mezzo, di- ce, tra L’isola del tesoro, Per chi suona la campana e Agostino. Tra Stevenson, Hemingway e Moravia, è una curiosa collocazione, indubbiamente priva di falsa modestia: «Scusa questa lunga tirata d’orgoglio paterno, ma ho finito il romanzo proprio ieri notte, e non sono capace di pensare ad altro».
Poi Calvino torna a occuparsi di premi, perché, precisa, «a Torino la tiro assai al verde, e se non avessi da “fare il pieno” ogni tanto a Sanremo, non saprei come tirare avanti». Si raccomanda perciò all’amico, giurato del premio de «l’unità» di Genova cui Italo ha appena mandato un racconto, perché gli dia una mano. «Se andrà bene ci vedremo a Genova a fine d’anno e prenderemo una ciucca in compagnia». Chiude con un quadretto d’atmosfera della casa editrice Einaudi, dove «Natalia continua il suo ancora senza titolo [forse il romanzo breve È stato così], una storia sommessa e piovviginosa [sic] che sembra prometta bene»,
Il documento
Calvino, 23 anni appena compiuti, annuncia la nascita di un «giovane e paffuto romanzo»
L’orgoglio
«Ho finito il romanzo proprio ieri notte e non sono capace di pensare ad altro»
mentre Pavese lavora a un libro misterioso, probabilmente Dialoghi con Leucò: «Nessuno sa cosa sia ancora, ma lui continua a scrivere e non pensa ad altro».
Il nuovo catalogo della Pontremoli, Lettere firmate, è dedicato alla straordinaria collezione di autografi del Novecento italiano letterario detenuta da Rolando Pieraccini, editore, gallerista e collezionista residente da oltre quarant’anni a Helsinki, dove si occupa di arte contemporanea, letteratura finlandese e angloamericana. Dalla A di Arbasino alla Z di Zavattini, tra le innumerevoli perle si trovano anche lettere a Bompiani in cui Moravia si lamenta della sciatteria delle bozze: «Ci sono almeno due errori di stampa, di cui uno grossissimo perché cambia il senso del testo “schiavitù eroica” invece di “schiavitù erotica”»; schede di lettura in cui Bobi Bazlen stronca gli americani Dos Passos e Caldwell; considerazioni di Anna Maria Ortese sul proprio stile «così complicato» che non è «un capriccio linguistico, quanto una necessità fantastica, anzi un vero impulso psicologico»; una lettera in cui Calvino denuncia i «ricatti» di Quasimodo sulle traduzioni; una riflessione poco politicamente corretta di Giovanni Arpino sul Nobel: «Immagino che tra poco il premio andrà a uno scrittore africano o indiano o indocinese: è fatale. L’uomo bianco risulta ormai condannato…».
Ritrovati
Da Arbasino a Zavattini: nel nuovo catalogo della libreria Pontremoli tanti autografi del Novecento